Ad accogliere il nuovo film di Martin Scorsese di produzione Netflix, a Roma, sono stati gli applausi della stampa e del pubblico in quella giornata infiammata di cinefilia del 21 ottobre.
La Festa del Cinema della capitale ha dato al film un primo assaggio in Europa del successo che sicuramente non mancherà dal 4 novembre, al momento dell’uscita in sala poi seguita da quella su Netflix il 27 dello stesso mese.
The Irishman è un film che si prende il suo tempo, si dilata per tre ore forte del sostegno monetario della piattaforma streaming americana quanto della forza narrativa di Scorsese che ha messo il tono barocco di Casinò e The Departed in sordina.
Non è però la storia di un’ascesa o di un successo cui fa seguito una caduta più o meno rovinosa: è semmai il racconto di una solitudine che si crea poco a poco e alla fine trova solo il rimpianto per compagno.
Per questo film cupo ed energico, pienissimo di pietà e brezze di ironia, Scorsese si è rifatto alla vita di Frank Sheeran (1920-2003), sicario irlandese che per i suoi contatti italoamericani poté conoscere e dovette poi uccidere il sindacalista Jimmy Hoffa (1913-1975).
La sceneggiatura di Steven Zaillian, partendo dal libro di Charles Brandt, usa proprio il racconto di questo rapporto come chiave della vita di Frank, il suo culmine ed inizio della discesa. La pietà del regista è più che visibile nell’assenza di compiacimento usata nel raccontare questa “colpa” e questo “tradimento” di un’amicizia, di un legame che avvicina Frank, uomo dell’underground criminale, ad Hoffa che si è intrecciato più volte con la Storia d’America del secondo Dopoguerra.
La descrizione e la condanna ambientali di Scorsese rimangono impeccabili: il giovane regista di Mean Streets non ha fatto che aumentare in spessore e sottigliezza e The Irishman, che è un Quei bravi ragazzi in nero, dove la lezione morale è più che imparata, lo dimostra.
Soprattutto in questo film, più che il sangue vale il legame di clan e lo si vede dal modo in cui il Russell Bufalino di Joe Pesci lega a sé Frank come un fratello ed un protetto o da come questi non riesca a far breccia nei silenzi della figlia Peggy (Anna Paquin).
Spetta a questo personaggio di poche battute il giudizio più tranciante sull’operato di Frank, con rifiuti nettissimi e sprezzanti, incrementati dal ricordo del legame affettuoso che da piccola la ragazza aveva con Hoffa.
The Irishman non racconta un sogno quanto un incubo di un uomo che rimane nell’ombra in ogni senso, che si scopre pedina e non arbitro del proprio vissuto. Il personaggio più simile a Frank Sheeran è guarda caso il Billy Costigan (Leonardo DiCaprio) di The Departed.
La sobrietà ed il rigore di questo Scorsese più recente si sentono nel controllo della musicalità abituale: la scena dell’uccisione di Hoffa è attraversata da un silenzio che pare interminabile, squarciato solo dai colpi di pistola che siglano il meno onorevole ed il più importante omicidio nella carriera di Frank Sheeran.
Menzioni d’onore vanno fatte ad Al Pacino scatenatosi nei panni di Hoffa e Joe Pesci, che qui recita in maniera più pacata, più diabolicamente in chiave bassa rispetto a Casinò del 1995.
Pesci e DeNiro, qui in un ruolo dei suoi più sentiti e sofferti, hanno subìto il tocco degli effetti speciali di Pablo Helman per un ringiovanimento dovuto alle prime scene del film: sulle prime c’è sorpresa ma ciò non turba l’apprezzamento del film. Gli scorsesiani andranno di sicuro a nozze con questo film tragico, eroso ed incalzato dal Tempo, che è The Irishman.