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Il Sistema Militare Sudcoreano e il Reato di Atti Indecenti: Protezione della Disciplina Militare o Discriminazione di una Minoranza?

A gennaio di quest’anno, i media sudcoreani e internazionali hanno riportato il caso del sergente maggiore Byun Hui-soo che, in seguito ad un’operazione per la riassegnazione di genere, è stata congedata dal servizio militare. Secondo le autorità competenti infatti, le visite mediche alla quale la Byun si è sottoposta hanno evidenziato come la perdita dei genitali maschili rappresenti un handicap tale da non permettere al sergente di continuare a servire. Mentre il sergente ha annunciato di voler portare il caso davanti alla Corte Suprema, questa notizia mette sotto i riflettori una delle problematiche maggiori del sistema militare sudcoreano, ovvero la continua discriminazione della comunità LGBTI. 

Mentre la Corea del Sud non criminalizza l’omosessualità e gli eventi a favore delle minoranze sessuali nel Paese raccolgono sempre più adesioni, il sistema militare sudcoreano sembra non volersi adeguare a tale tendenza, mantenendo invece le sue leggi contro la “sodomia”. L’articolo 92(6) del codice penale militare sancisce infatti che chiunque sia colpevole di aver avuto un “intercorso anale” con un’altra persona è colpevole di aver commesso “atti indecenti”, rischiando fino a due anni di reclusione e lavori forzati. Da diverso tempo oramai l’abolizione del reato di atti indecenti dal codice penale militare sudcoreano è soggetto a dibatti interni al Paese. Infatti, mentre da una parte, i sostenitori dei diritti LGBTI sostengono che tale articolo rappresenti una violazione dei diritti umani delle minoranze sessuali, i gruppi più conservatori ritengono che tale legge sia una necessità, visto la natura del sistema militare. Tale posizione è la stessa adottata dalla Corte Costituzionale coreana, chiamata ben tre volte a giudicare la costituzionalità di tale articolo. La Corte ha sempre sostenuto la costituzionalità dell’articolo 92(6), sostenendo che le circostanze “speciali” del mondo militare giustifichino la presenza del reato di sodomia. Secondo le motivazioni della Corte, il sistema militare sudcoreano presenterebbe “un’alta probabilità che i superiori tentino di avere rapporti sessuali con i loro subordinati” e che tale probabilità, se non affrontata adeguatamente, potrebbe “rappresentare un serio e diretto rischio contro il mantenimento della forza combattiva dell’esercito.” Tra i vari sostenitori della legge anti-sodomia, ci sono anche i gruppi religiosi più conservatori, che sostengono come permettere agli omosessuali di entrare nell’esercito diminuirebbe la forza combattiva dell’esercito stesso, in quanto porterebbe ad un aumento dei casi di violenza sessuale e di positività a HIV/AIDS tra i soldati, causando così un indebolimento dell’esercito e la nascita di uno “stato comunista” in Corea del Sud. 

Nonostante quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale coreana e la visione alquanto catastrofica dipinta dai gruppi religiosi più conservatori, gli aspetti negativi di tale legge sembrerebbero superare di gran lunga gli aspetti “positivi”, come anche dimostrato da diversi casi di discriminazione e maltrattamenti di individui LGBTI avvenuti proprio nel sistema militare sudcoreano. A tal proposito, in passato, i media sudcoreani e le organizzazioni in difesa delle minoranze sessuali nel Paese hanno riportato diversi casi in cui la legge contro gli “atti indecenti” è stata utilizzata per il maltrattamento dei soldati omosessuali. Nel 2014, per esempio, è stato riportato come la 37esima divisione di fanteria abbia applicato misure restrittive contro un soldato omosessuale, dopo che quest’ultimo era stato indagato proprio per atti indecenti. Secondo quanto riportato, il soldato e un suo commilitone avrebbero intrattenuto un rapporto sessuale omosessuale consenziente ma, una volta iniziate le indagini, solo il soldato dichiaratosi apertamente omosessuale è stato sottoposto a misure restrittive. Il secondo soldato non sarebbe stato perseguito, in quanto avrebbe dichiarato di aver subito avances sessuali “indesiderate”, in quanto uomo eterosessuale. Le misure restrittive applicate al primo soldato hanno avuto una durata di cinque mesi, e prevedevano detenzione forzata nell’ala medica della divisione e privazione di telefono, internet e permessi d’uscita. L’articolo 92(6) del codice penale militare potrebbe inoltre rappresentare un grave ostacolo per le vittime di stupro nel sistema militare. In un caso risalente al 2011, infatti, un soldato omosessuale è stato sospeso dopo essere stato costretto da un suo superiore a praticare del sesso orale. Il caso, tuttavia, è stato perseguito come atto consenziente, portando alla sospensione sia del superiore, che della sua vittima. L’articolo 92(6) sembrerebbe avere quindi l’effetto opposto rispetto a quanto auspicato dalla Corte Costituzionale, in quanto l’articolo non proteggerebbe i soldati vittime di violenza, ma piuttosto li criminalizzerebbe. 

L’abrogazione dell’Articolo 92(6) non sembrerebbe essere destinata ad avvenire in tempi brevi, soprattutto visto che le tre sentenze già emanate dalla Corte Costituzionale sudcoreana a riguardo hanno tutte confermato la costituzionalità della legge anti-sodomia. Tuttavia, in una nota positiva, la questione sembrerebbe dividere sempre più i giudici della corte che, mentre nel 2002 avevano sostenuto la costituzionalità dell’articolo con 7 voti contro 2, sia nel 2011 che nel 2016 hanno invece presentato una divisione più accentuata, con solo 5 giudici a favore contro i 4 a sfavore. Un altro segnale positivo lo si ha avuto nel 2018 quando, sempre la Corte Costituzionale, aveva stabilito la necessità di creare un servizio alternativo al servizio militare obbligatorio. Mentre il sistema alternativo adottato a dicembre 2019 è stato ampliamente criticato per essere più un sistema punitivo che alternativo, il fatto che la Corte Costituzionale abbia finalmente richiesto la creazione di tale sistema fa sperare in una svolta nella giusta direzione che, in futuro, potrebbe anche portare all’abolizione della legge anti-sodomia nel Paese.

Beatrice Baglio

Immagine di copertina: https://isdp.eu/ambition-and-ambiguity-south-koreas-defense-industry-reform/

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Out of the Closets and into the Streets: un approfondimento sulle teorie di conversione per omosessuali

Sebbene nella maggior parte del mondo non si faccia al giorno d’oggi più alcuna distinzione discriminatoria tra etero e omosessuali, esistono realtà nascoste all’interno delle quali avere un orientamento sessuale diverso dalla tradizionale eterosessualità viene considerato un peccato, una deviazione mentale, una patologia psichica o, addirittura, una distorsione genetica o un reato. Esistono, invero, delle vere e proprie “terapie di conversione”, dette anche “riparative” o “di riorientamento sessuale”, metodi intesi a cambiare l’orientamento sessuale di una persona dall’omosessualità originaria all’eterosessualità, oppure ad eliminare o quantomeno ridurre i suoi desideri e comportamenti omosessuali.
In Italia, così come negli Stati Uniti ed in altri Paesi, questo tipo di terapie sono state categoricamente vietate dall’Ordine professionale nazionale, e ci sono state sanzioni significative nei confronti di vari psicologi che hanno operato nel campo. Non è però così, ad esempio, in Cina, dove sono circa 130 le cliniche che offrono terapie di conversione per “guarire” dall’omosessualità. Tr
a le strutture che praticano questo tipo di trattamenti ci sono ospedali sia privati che pubblici, rispettivamente controllati e gestiti dalla Commissione nazionale per la salute e dal governo. Alcune delle vittime hanno dichiarato di aver subito, senza consenso orale o scritto, l’elettroshock e di essere state costrette dai medici a ricevere iniezioni, ad assumere pillole e farmaci e a confrontarsi con consulenti (perlopiù religiosi) che avrebbero loro spiegato che essere gay è immorale e nessun genitore potrà mai perdonare un figlio macchiatosi di un peccato tanto disgustoso e grave. In Ecuador, invece, a mettere in atto queste terapie sono circa 200 centri teoricamente specializzati nella riabilitazione di persone alcoliste o con dipendenze da diversi tipi di droghe; ma che in realtà nascondono in cella persone omosessuali costrette a subire sevizie contro la propria volontà (nella maggior parte dei casi sono proprio i genitori a rivolgersi a determinate strutture per far “guarire” i propri figli). I pazienti vengono violentati, sottoposti a percosse e frustate, alienati e costretti all’isolamento. Oltre a dover studiare la Bibbia e dedicarsi alle pulizie del centro, le pazienti donne sono obbligate fin dal risveglio a truccarsi, indossare gonne e tacchi per “imparare ad essere vere donne”. Questo e molto di più ci viene raccontato, tramite il progetto “Untilyouchange”, con l’ausilio di una sequenza di fotografie e didascalie della fotografa Paola Paredes. Paola è una fotografa ecuadoriana, lei stessa omosessuale, che ha sempre dedicato il suo impegno e il suo lavoro alla comunità LGBT, esplorandone, in particolare, gli aspetti del suo stesso Paese. (Qui Untilyouchange ed altri progetti correlati: https://www.paolaparedes.com/).  
Sebbene la maggior parte delle persone che sono state vittime di taluni modelli di terapie riparative abbiano riscontrato traumi a livello psichico e abbiano dovuto affrontare periodi di depressione e diversi disturbi post-traumatici, esistono invece associazioni di matrice religiosa nate negli Stati Uniti intitolate “gruppi di ex-gay”, che hanno lo scopo di dimostrare che sia possibile “guarire” l’omosessualità essenzialmente attraverso la preghiera e la forza di volontà. Gli “ex-gay” sostengono di esser stati omosessuali per un periodo della loro vita e di esser poi completamente guariti grazie alla vicinanza e al supporto di persone “alla pari”, sul modello degli alcolisti anonimi. Per loro l’omosessualità è infatti una devianza, una condizione di disagio mentale, così come la bisessualità e il transgenderismo, considerati condizioni patologiche che possono però essere curate e guarite, o quantomeno represse.
L’impossibilità di classificare scientificamente le teorie dei movimenti degli ex-gay è stata riaffermata dall’Organizzazione mondiale della sanità, che a partire dal 1974 ha riclassificato l’omosessualità da “disturbo” a “variante dell’orientamento”, proprio di fronte all’impossibilità di trovare nelle ricerche scientifiche elementi che supportassero il carattere di “patologia” delle varianti dell’orientamento sessuale.
Pertanto, citando il motto della Queer Nation, una delle tante associazioni attiviste della comunità LGBT, Out of the Closets and into the Streets“!

Francesca Moreschini