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A volte ritornano: Volver

Almodóvar parla meglio di sé quando si nasconde. Volver è un film dove l’Io del narratore è fatto a pezzi e usato come struttura portante: c’è più sincerità autobiografica nei fatti minimi che costellano le vicende della trama, nei rapporti, nei dettagli delle scene che in tutto Dolor y gloria.

Tutta la storia vive del contatto quotidiano del regista con il mondo femminile, riceve la linfa dai dialoghi che tradiscono più di quanto dicano. È una storia di provinciali, che si dividono tra una Madrid periferica ed il paese natìo. Raimunda (Penelope Cruz), sua sorella Soledad (Lola Dueñas) e la figlia della prima, Paula (Yohana Cobo), sono originarie di Alcanfor de las Infantas nella Mancha, dove non mancano mai il vento e la follia.

Si portano dietro affetti intensi e dolorosi, un passato di violenza incestuosa che si ripete come se fosse una riemersione del rimosso. Il trauma ripetuto, quasi un’opera di sciamano, sembra rievocare un fantasma benigno che ha il sorriso ironico e la sensibilità dell’Irene di Carmen Maura.

Il riferimento a Mildred Pierce, fatto dallo stesso regista, sfiora appena il film, non lo definisce se non in superficie. Citazioni assai più importanti, già a livello visivo, sono quelle che portano Almodóvar ad incorniciare nel contesto trash della tv il viso di Blanca Portillo come una Giovanna d’Arco di Dreyer o d’inquadrare nonna Irene e la nipote Paula con un taglio perpendicolare alla Bergman.

C’è il sospetto, vedendolo, che questo sia uno dei pochi film di Almodóvar destinati a durare la prova del tempo. È pure più bello di Tutto su mia madre: in quel film si sentiva ancora il bisogno di esprimere una diversità, un bisogno, che è tipico degli adolescenti, di distaccarsi da una tradizione, di prendere partito; in Volver gli affetti e le passioni dominano con una simbologia serena, un’ideologia forte della propria naturalezza, hanno davvero una grazia primitiva.

Il passo qui scorre limpido: lo si sente dalla facilità con cui le parole rendono perfettamente l’ambiente sociale delle protagoniste e le fanno muovere tra gli spazi e i ricordi. Trasportare il film in Italia non sarebbe difficile, proprio per quel sapore mediterraneo delle tradizioni che il film mostra con padronanza e disinvoltura.

Al contempo però, è incredibilmente spagnolo senza accarezzare l’idea del pittoresco e del turistico. Merito sommo del regista è di aver scelto i visi giusti: le sue protagoniste furono premiate a Cannes insieme alla sceneggiatura. La Cruz, che avrebbe poi vinto l’Oscar grazie a Woody Allen, perse la nomination con una stella che in un altro festival (Venezia) aveva fatto centro: Helen Mirren, che brillava in The Queen di Stephen Frears, film non alla sua altezza ma scrittole su misura.

Antonio Canzoniere

 

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L’Europa non è mai stata così British 

Le finali delle Coppe Continentali Europee di questa edizione hanno visto le qualificazioni di soli club inglesi, Chelsea e Arsenal per l’Europa league e Liverpool e Tottenham per quanto riguarda la Champions League.

La finale tutta londinese tra i Blues e i Gunners è andata in scena mercoledì sera a Baku e ha visto i ragazzi di Sarri imporsi per 4-1 sull’Arsenal di Emery, che dopo un primo tempo equilibrato è crollato sotto i colpi di Hazard e compagni.

Il Chelsea è sceso in campo con il solito 4-3-3, marchio di fabbrica delle squadre di Sarri, con Jorginho regista e Kovacic e Kante come mezzali a supporto del tridente offensivo formato da Hazard, Pedro e Giroud, preferito a Higuain.

Le scelte di Emery hanno invece portato l’Arsenal a schierarsi con un 3-4-1-2 formato dai tre centrali Koscielny, Sokratis e Nacho Monreal, supportati dagli esterni Maitland-Niles e Kolasinac che, insieme agli interni Xhaka e Torreira formavano la linea a 4 dei centrocampisti. Per quanto riguarda l’attacco Lacazette e Aubameyang si muovevano davanti ad Ozil.

Il primo tempo ha regalato poche azioni da gol e ha visto il Chelsea difendere molto basso lasciando l’iniziativa all’Arsenal, ma il baricentro basso degli uomini di Sarri infatti non lasciava spazio per i movimenti in profondità dei due rapidissimi centravanti avversari.

Non trovando spazi quindi in zona centrale, data anche la scarsa forma mostrata da Ozil, l’Arsenal ha concentrato i suoi attacchi nella zona destra del campo, affidandosi alle sgroppate di Maitland-Niles che più di una volta ha messo in difficoltà Emerson Palmieri, laterale sinistro della difesa Blues, senza però mai risultare veramente efficace.

L’occasione più grande per i Gunners è al ventottesimo minuto quando Granit Xhaka scarica un potentissimo destro da fuori che scheggia la traversa e vola alto.

Durante il primo tempo il Chelsea si era limitato a gestire il pallone e, nonostante fosse andato vicino al gol con Giroud al 37° minuto, aveva dato l’impressione di una squadra un po’ sulle gambe, almeno a confronto con gli avversari.

Nel secondo tempo però al Chelsea sono bastati appena 16 minuti per indirizzare la partita a suo favore segnando tre reti e mettendo in ginocchio gli avversari. Il primo gol è arrivato da un possesso palla prolungato che, una volta arrivato sull’out sinistro è stato scodellato in mezzo da Emerson Palmieri e raccolto con una torsione da fuoriclasse da Giroud che anticipa Koscielny e beffa Cech. Il secondo gol arriva sempre dalla stessa fascia grazie ad un gran lavoro centrale di Kovacic che serve Hazard sulla sinistra, il quale la mette in mezzo e trova il sinistro chirurgico di Pedro che firma il 2 a 0. Il rigore del 3 a 0, guadagnato da Giroud e trasformato da Hazard, sembrava aver chiuso la partita ma dopo solo quattro giri d’orologio arriva la risposta di un Arsenal mai domo che prova a rientrare in partita con un gol capolavoro di Alex Iwobi che da fuori area colpisce al volo e non lascia scampo a Kepa Arrizabalaga. Purtroppo per la squadra di Emery il consequente sbilanciamento alla ricerca del secondo gol porta al quasi immediato poker del Chelsea che in contropiede chiude la partita grazie alla doppietta di Eden Hazard. A risultare decisivo alla fine è stato sicuramente l’estro dell’esterno belga, alla sua ultima partita in maglia blu, che nel secondo tempo con due gol e un assist ha trascinato la sua squadra alla vittoria.

La qualità e l’intensità viste nella partita di ieri sono lo spot migliore per la finale di Champions, in programma per domani sera alle 21 a Madird, che vedrà altre due squadre inglesi darsi battaglia.

Il Liverpool si gioca tutta la stagione con questa partita, avendo perso il campionato per un solo punto ha solo questa possibilità per non finire la stagione a zero titoli. La sconfitta nella finale dello scorso anno dovrebbe aver dato alla squadra una maggiore maturità, inoltre la strabiliante vittoria contro il Barcellona nelle semifinali rende il Liverpool la squadra favorita per la vittoria finale. Il 4-3-3 di Klopp punta sulla superiorità tecnica a centrocampo e sulla straordinaria velocità delle sue ali per mettere in difficoltà gli avversari.

Il Tottenham invece si presenta per la prima volta in finale di questa competizione e sicuramente non arriva con il favore del pronostico.

Questo però non è stato un problema per gli uomini di Pochettino che non erano considerati i favoriti nemmeno contro il Manchester City o contro l’Ajax, invece hanno stupito tutti fornendo delle stupende prestazioni in trasferta. Il secondo tempo del ritorno delle semifinali ha dato dimostrazione di quale sia il potenziale offensivo di questa squadra. E attenzione perché capitan Harry Kane ha recuperato e siederà in panchina, pronto per subentrare e provare a scrivere la storia del suo club.

Enrico Izzo