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Un pezzettino di felicità

In un romanzo particolare di G. K. Chesterton del 1912, “Manalive” , “Uomo vivo”, o anche detto “Le avventure di un uomo vivo”, l’eccentrico protagonista Innocent Smith punta la sua pistola addosso ad un filosofo, uno di quelli scettici, che dice che la vita non vale di essere vissuta. Spara qualche colpo accanto a lui e vede che l’altro, istintivamente, si scansa; questo per dimostrargli che, in realtà, anche lui vuole vivere, che anche il più scettico tra gli scettici, nel momento in cui si trova davanti alla morte, preferisce la vita. “Soltanto quando avete fatto naufragio sul serio, trovate sul serio ciò che vi occorre”. (GKC, Le avventure di un uomo vivo, pag. 62). 

Noi non vogliamo morire. 

“II valore delle cose sta nell’essere state salvate da un naufragio, ripescate dal Nulla all’esistenza […]. Gli alberi e i pianeti mi parevano come salvati dal naufragio”. (GKC, Ortodossia, pag. 89). 

Più o meno un anno fa, mentre stavo facendo la mia solita infusione mensile al day hospital dell’ospedale Sant’Andrea di Roma, mi ricordo che arrivò euforico il mio neurologo, e con le lacrime agli occhi mi disse: “Giorgia, ce l’abbiamo fatta”. Da lì capii tutto. Finalmente la direzione sanitaria aveva detto sì alla sperimentazione su di me di un farmaco biologico, per la precisione un anticorpo monoclonale. Avevamo dovuto lottare molto, io, la mia famiglia, e i neurologi che mi seguivano e seguono tuttora. Non essendoci una vera e propria cura per la mia malattia, la Miastenia Gravis, (malattia rara autoimmune ai danni delle giunzioni neuromuscolari), avevo provato diversi trattamenti e farmaci, ma a lungo andare nessuno sembrava avere un effetto decisivo sui miei sintomi. 

Un farmaco sperimentale è un farmaco che non è ancora entrato in commercio e che necessita di un processo di sperimentazione, regolato a livello internazionale, che può durare dai 10 ai 12 anni. Il percorso del farmaco è scandito da varie fasi e il passaggio alla fase successiva è consentito solo dal superamento di determinati standard della precedente. 

Il fatto che la direzione sanitaria ci mise diversi mesi per acconsentire al trattamento su di me del seguente farmaco sperimentale, era dovuto al fatto che i dati sui suoi possibili effetti terapeutici in soggetti miastenici, non erano ancora abbastanza. Mentre era già ampiamente utilizzato per il trattamento di alcune forme di leucemia e di altre malattie, come la mia, autoimmuni, prima fra tutte il lupus eritematoso sistemico (LES), con ottimi risultati. 

In ogni caso la notizia di una nuova prospettiva era per me un sollievo inimmaginabile. Naturalmente i rischi erano alti, le possibilità che su di me funzionasse si attestavano su un 50 %. Percentuale che ai miei occhi sembrava comunque grandiosa. Per un malato che ha subito importanti recidive, che è passato per ricoveri ospedalieri, visite d’ambulatorio mensili, day hospital mensili, che aveva visto il suo corpo piano piano abituarsi ad ogni tipo di farmaco e regredire allo stadio precedente, una nuova speranza significava tutto. 

Il farmaco sperimentale ebbe su di me risultati incredibili già da un mese dopo il primo ciclo. I sintomi sono piano piano regrediti, potevo vedere di nuovo bene, potevo di nuovo parlare bene, avevo di nuovo forza nei muscoli. Tutte quelle cose che spesso vengono date per scontate e che io non ero da qualche tempo più in grado di fare, stavano tornando di nuovo alla mia portata. La cosa più bella di tutto questo è che finalmente stavo riacquistando indipendenza. Potevo guidare, potevo raggiungere un posto da sola con la mia macchina senza chiedere a nessuno di accompagnarmi; potevo leggere senza stancarmi gli occhi dopo 10 minuti; potevo ballare per ore senza il terrore che i miei muscoli cedessero da un momento all’altro. Scendevo dal letto e non mi sentivo trenta chili di marmo addosso. È passato un anno quasi. Ho completato due cicli completi. L’ultimo, a febbraio. 

E così mi sono trovata ad essere un soggetto a rischio, un’immunodepressa in una delle più grandi pandemie influenzali dei nostri tempi. Eh sì, perché la cura alla quale sono stata sottoposta è una cura di tipo immunodepressivo, in poche parole va ad abbattere le difese immunitarie, essendo il malfunzionamento degli anticorpi il problema scatenante delle malattie autoimmuni. E senza difese immunitarie non si ha la possibilità di debellare infezioni e virus. Così sono caduta di nuovo nell’incubo. Perché quello che stiamo attuando ora tutti noi, l’osservazione di precise norme igieniche e comportamentali, l’autoisolamento, la valutazione di eventuali sintomi, io già lo attuavo, in parte, da prima. Ora però la differenza è sostanzialmente questa: che la mia salvaguardia, la mia sopravvivenza non dipendono più solo da me, ma anche dal buon senso delle altre persone. La mia più grande paura è soprattutto questa: che i miei sforzi e i sforzi delle persone che mi sono accanto possano essere vanificati da qualcosa, o da qualcuno. Mio padre si prende cura di una persona anziana e non può stare accanto a me, così si può dire che sono quasi due mesi che non lo vedo. Ci porta la spesa a casa, a me, mia madre e mio fratello, con guanti e mascherina, ce la lascia alla porta e se ne va. L’altro giorno in videochiamata, quando non portava la mascherina, mi sono accorta che la sua barba si sta facendo bianca. Le persone che abitano con me non possono uscire neanche per la spesa, appunto. Possono solo andare a buttare l’immondizia. Io neanche quello, altro che passeggiatina o corsetta. 

Vi racconto questo non per essere pesante. Mi sento una privilegiata. Vi racconto questo perché volevo rendervi partecipi di un’altra realtà, una realtà diversa dalla quarantena che stiamo affrontando tutti. Penso spesso alle infermiere che si sono prese cura di me, che mi tenevano compagnia quando ero ricoverata o quando facevo le mie infusioni, mi chiedo come stiano ora, se stanno esercitando il loro lavoro in sicurezza. Penso a quanto sono stata fortunata a poter essermi curata in Italia, a casa mia, dove la sanità mi permette di non tirar fuori un euro per questa grazia. Penso a che belle persone sono i miei neurologi che tutti i giorni mi chiamano o mi scrivono per sentire come sto. Penso che non potrò mai ringraziare abbastanza la mia famiglia per gli sforzi che stanno facendo. Penso al coraggio di quella mia amica infermiera, che soffre di una malattia autoimmune come me, ma che quando ha sentito che serviva personale per questa emergenza, si è buttata e si è offerta. Penso a quel ragazzo dolcissimo che ho conosciuto in uno dei miei day hospital, si stava curando anche lui ma per una patologia differente. Lavora alla guardia medica, è risultato positivo al tampone per il Covid-19. Mi immagino avere 27 anni e dover affrontare anche questa ora. Penso alla sua ragazza che lo aspetta a casa. Penso a questo e ad altre cose, e mi dico che è proprio bello aver incontrato tanta umanità. Che mi sono costruita insieme ad altre persone un piccolo pezzetto di felicità, e che farò di tutto per salvaguardarlo.

Giorgia Andenna

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Una malattia invisibile

Immaginatevi di svegliarvi una mattina e di non riuscire a vedere bene, di avere la visione offuscata, ridotta, distorta o addirittura sdoppiata. Di non riuscire a muovere bene gambe e braccia, di non riuscire a parlare bene, ad articolare alcuni suoni, di non riuscire a deglutire con facilità il cibo e le bevande ingerite. Immaginate di sentire il vostro corpo pesante come il marmo.

Questa è la Miastenia Gravis.

Ormai conosciamo bene cosa sia la Sclerosi Multipla o la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) perché fortunatamente se ne parla e si fa divulgazione, ma esistono ancora moltissime malattie rare di cui si sa ben poco e delle quali spesso non se ne conosce neanche l’esistenza. Oggi vi parlo, appunto, della Miastenia perché ne sono affetta da circa due anni e so quindi molto bene di che cosa si tratti. L’ho denominata “malattia invisibile” perché i suoi sintomi possono essere avvertiti esclusivamente da chi ne soffre; dall’esterno il malato di miastenia è una persona come un’altra, non si possono osservare direttamente o percepire i suoi sintomi. Per questo non solo spesso è difficile da diagnosticare come patologia, ma è anche difficile comprendere cosa possa provare un malato miastenico.

Il termine “miastenia gravis” deriva dal greco “myastheneia” che significa “debolezza muscolare” e “gravis”, “grave”. È una malattia neuromuscolare rara ed autoimmune, che colpisce le giunzioni neuromuscolari ed è caratterizzata da forte debolezza e affaticamento dei muscoli volontari. Può esordire a tutte le età ma è stato osservato un picco nella forma ad esordio nell’adulto, con femmine di età compresa tra i 20 e i 40 anni e maschi tra i 50 e 80 anni. La miastenia è determinata da una reazione autoimmunitaria contro i recettori postsinaptici dell’acetilcolina o contro le proteine Musk (chinasi muscolo-specifica).

L’acetilcolina è un mediatore che serve a trasmettere gli stimoli nervosi ai muscoli. Musk è una proteina recettoriale tirosin-chinasi transmembrana, localizzata a livello della giunzione neuromuscolare che svolge un ruolo importante nell’aggregazione dei recettori nicotinici dell’acetilcolina. Il blocco dei recettori da parte degli auto-anticorpi, fa sì che i muscoli non ricevano gli stimoli che regolano la loro funzione. Per questo motivo i muscoli risultano deboli e facilmente stancabili.

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Il fattore scatenante per la produzione di auto-anticorpi è ancora sconosciuta, ma la malattia si associa ad alterazioni del timo (ghiandola situata nel mediastino anteriore la cui funzione è quella di permettere la maturazione di linfociti T), ipertiroidismo autoimmune o altri disturbi autoimmuni. Altri fattori scatenanti potrebbero essere infezioni, forte stress, interventi chirurgici o avversione ad alcuni farmaci.

SINTOMI

  • ptosi palpebrale (abbassamento di una o di entrambe le palpebre),
  • visione offuscata o doppia (diplopia) dovuta alla debolezza dei muscoli che controllano i movimenti degli occhi
  • cambiamento nell’espressione del viso
  • difficoltà a deglutire (disfagia) 
  • fiato corto
  • difficoltà di articolazione del linguaggio (disartria) 
  • debolezza di braccia, mani, dita, gambe e collo.

I sintomi a carico dei muscoli possono variare, sia in intensità, che per tipologia di muscolo coinvolto. 

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DIAGNOSI

La miastenia gravis è una malattia ostica da riconoscere e diagnosticare, perché la debolezza muscolare è un sintomo comune a numerose altre patologie; a seguito di un’attenta anamnesi e di un esame fisico possono essere prescritti esami di laboratorio e strumentali:

  • Anticorpi anti AChR e MuSK: Si tratta di esami del sangue in grado di rilevare la presenza di anticorpi anomali, in grado di interferire con la trasmissione degli impulsi nervosi diretti al muscolo
  • Studio elettromiografico, in cui ad essere posto sotto la lente d’ingrandimento è la trasmissione nervosa del segnale.
  • Esami di imaging (come TAC e risonanza magnetica) per lo studio del timo.

TRATTAMENTO

La miastenia non può essere guarita con le cure, ma sono stati segnalati casi di risoluzione spontanea della patologia e, comunque, i sintomi possono essere controllati. A questo scopo si impiegano farmaci che facilitano la stimolazione dei muscoli da parte delle fibre nervose e altri che sopprimono la produzione degli auto-anticorpi. 

  • Farmaci immunosoppressori e farmaci anticolinesterasici: che migliorano la conduzione dello stimolo a livello della giunzione neuromuscolare: si utilizza quasi unicamente il bromuro di piridostigmina (Mestinon). Esiste poi una terapia causale che mira a limitare l’azione del sistema immunitario, si usano quindi corticosteroidi (soprattutto prednisone, Deltacortene, per via orale), e farmaci immunosoppressori come l’azatioprina.
  •  Timectomia: questa operazione chirurgica è volta alla rimozione del timo, una ghiandola spesso sviluppata in modo anomalo nei soggetti colpiti da miastenia;
  • Plasmaferesi e iniezioni di anticorpi per via endovenosa: si tratta di approcci limitati ai casi più gravi di miastenia, volti alla rimozione dal sangue degli autoanticorpi responsabili dei sintomi. L’effetto dura solitamente da poche settimane a qualche mese.

Le esacerbazioni e le crisi provocate dalla malattia possono essere pericolose per la vita e richiedere l’ospedalizzazione e l’assistenza intensiva.

Recentemente l’evoluzione della farmacologia della Miastenia si sta muovendo verso l’impiego di farmaci cosiddetti biologici: si tratta di anticorpi monoclonali rivolti direttamente contro le molecole di attivazione dei linfociti B, che poi sono quelli che producono gli auto-anticorpi. 

Giorgia Andenna

SITOGRAFIA: