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Agatha Christie: perché piace così tanto la regina del giallo

Agatha Christie (Torquay, 15 settembre 1890 – Winterbrook, 12 gennaio 1976) è considerata una delle scrittrici più influenti e prolifiche del XX secolo, nonché giallista di fama mondiale. Ancora oggi i suoi romanzi sono pubblicati in tutto il mondo: è infatti la scrittrice inglese più tradotta, seconda solo a William Shakespeare. A cosa attribuire l’ancora attuale successo della Christie? Come mai è ancora così in voga  tra i lettori di romanzi gialli, e perché le trame dei suoi romanzi ci coinvolgono così tanto?

Della vita di Agatha Christie ci sono alcuni fatti risaputi: la formazione da autodidatta, il primo matrimonio col Colonnello Archibald Christie ed il secondo con l’architetto Max Mallowan, la sua esperienza come infermiera di guerra a Torquay (durante la quale aveva imparato a conoscere il funzionamento e gli effetti di diversi tipi di veleno) e l’antipatia nei confronti della sua stessa creatura letteraria (Hercule Poirot).
Un fatto curioso che forse in pochi sanno è che la scrittrice non aveva un buon rapporto con la scrivania: Agatha era affetta da disgrafia, un disturbo della scrittura che non le permetteva di sentirsi a suo agio nel poggiare la penna sul foglio bianco. Per questo motivo molte delle sue opere furono dettate a voce, ed il materiale autografo risultò di ardua interpretazione (tra cui alcuni quaderni che vennero alla luce nel 2004, quando sua figlia Rosalind Hicks morì). Nonostante il deficit nell’abilità motoria della scrittura, la giallista seppe regalare al mondo i prodotti di una fulgida immaginazione letteraria: Christie era molto brava ad immaginare omicidi, che costituiscono il suo punto forte. Questo viene a volte attribuito al fatto che aveva appunto studiato farmacia e che aveva informazioni pratiche e dettagliate riguardo all’avvelenamento delle persone; perciò i suoi omicidi implicano sistemi di uccisione molto pragmatici e plausibili.
Inoltre, la scrittrice era profondamente convinta della cattiveria umana e sosteneva che il male rappresentasse un’importante componente della natura umana: dietro a intrecci e depistaggi elaborati si nascondono sempre essenzialmente due moventi, quali l’avidità di denaro o l’odio.

La sua carriera di scrittrice è caratterizzata dalla sistematica esplorazione di espedienti formali e strutture narrative all’interno di un genere che aveva una serie di regole fisse e che lei seguiva in modo quasi ossessivo: deve esserci un omicidio, il caso deve essere risolto da un investigatore, devono esserci un assassino e una vittima, una serie di personaggi che potrebbero essere l’assassino, ma non lo sono, un certo numero di possibili moventi, ecc. A dimostrazione di ciò, nei libri di Agatha Christie c’è sempre ed immancabilmente un momento in cui rivelano la propria artificialità, spesso tramite riferimenti al genere o a personaggi teatrali.
La tendenza della Christie al manierismo e al formalismo spiega anche perché una delle scrittrici di gialli più popolari di tutti i tempi usa come personaggio principale un uomo che è il detective peggiore, e che è così visto con affetto proprio perché poco plausibile: Miss Marple, “una vecchia pettegola che mette il naso in tutto quello che la riguarda e non la riguarda”, è fondamentalmente molto più credibile di Poirot; eppure è la protagonista di appena 12 romanzi e una ventina di racconti, contro i 33 romanzi, i 51 racconti e l’opera teatrale che hanno al centro il grande investigatore. I lettori comprendono molto bene la natura artificiale e convenzionale delle trame di Christie, accettano e amano Poirot in quanto espediente formale, perché ricorda in modo quasi brechtiano la finzione alla quale sono invitati a partecipare.

“Il formalismo di Christie è un prodotto dei suoi tempi: un progetto più o meno contemporaneo al modernismo con il quale divide alcuni interessi, ma rivolto a un pubblico di massa” scrive John Lanchester, scrittore e giornalista britannico. “Il suo interesse per l’identità e la natura dei personaggi e della società è una preoccupazione modernista, espressa attraverso un mezzo deliberatamente popolare e accessibile. Nelle sue opere si mescolano ambienti in cui regnano l’ordine e profonda cattiveria, familiarità e freddezza, e alla loro base c’è la domanda più importante di tutte, la preoccupazione tipica della modernità: chi sei?”
Senza dimenticare quel pizzico di ironia che permeava le sue opere e che la conduceva ad entrare nei suoi stessi testi, e una sottile vena di ottimismo che li pervade, possiamo sicuramente dire che “il suo intento era quello di rasserenare il suo pubblico, dopo averlo attirato nel mondo del mistero, dicendogli che ragione, intelligenza e buona volontà finiranno sempre per prevalere” (dall’introduzione a Dieci piccoli indiani, Mondadori, I classici moderni, 1988, traduzione a cura di Beata Della Frattina).

Francesca Moreschini

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