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La nostalgia programmatica (fa male ai polmoni)

Le dita mangiucchiate di vizio,
trattengono filtri e ansie umide
di saliva e passato;

asciugato
da qualche vento francese
e da una canzone al tramonto,
che non conosco.

Perché spegnere una sigaretta non proprio finita?
Perché non salvarla dal cemento e
aspirare un ultimo tiro
nell’atmosfera stranita
di un futuro che si fa passato,
In quel giardino
semi abbandonato.

è un ultimo pensiero, un ultimo ricordo
ciò che,
alla fine dei conti e di altri tramonti,
nutre le mie sciagurate poesie
per te che sei lontano,
tormentato,
In quel un sogno
magari,
semi addormentato.

Compiaciuta schiaccio il filtro gonfio e finito,
come se potessi fare lo stesso anche
con gli strascichi delle nuvole,
da sola,
In quel un paese
semi incantato.

(quello dei poeti,
benedetti e maledetti da me
che sono solo semi e poco più).

Forse sono fatta a mozziconi.

Iris Furnari

 

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A tu per tu

Tutti dicono che sei forte e capace
ma io non capisco,
sciocchi speranzosi.
Io solo conosco il dolore
sotto quegli occhi ardenti di brace. 

Io non ti conosco
e non ti voglio vedere,
édere
davanti agli occhi mi farò crescere,
così quando mi chiederai di guardarti
ti dirò che non posso,
sono impossibilitata
giustificata.
Ma in realtà sono nel fosso,
codarda, nascosta.
E dal dolore riderai
nel renderti conto che non ti amo.
E siamo fermi
L’uno davanti all’altro,
pazientiamo. 

Lo sai che provo tenerezza per te,
per quello che ti è successo.
Ma quello che non ti ho detto
è che anche questo sentimento
porta con sé del giudizio.
Non ti mento,
ti vedo piccola e indifesa,
spesso in bilico su un possibile precipizio,
e invece di ringraziarti,
ti guardo con pena.
Non so dire altro che “Poverella!”.
Tu sulla tua altalena.
Io vado avanti con la mia cantilena.
Vivo ad un passo dal tuo corpo
e alle tue azioni lancio occhiate di disprezzo.
Sono a poco dall’accoglimento,
eppure, scelgo il ribrezzo.
Condanno i tuoi pensieri,
perché ne ho paura.
È questo il segreto che ti confesso.
Atto di abiura.
Che forse sei tu
che per me puoi provare compassione.
E perdonarmi.
Accorciamo questa scissione.

Giorgia Andenna

Ti ringrazio, Antonia, «anima palpitante, ridente, nostalgica e appassionata» della poesia italiana

È strano come alle volte ci imbattiamo in qualcosa che non ci saremmo mai aspettati di scoprire, proprio nei luoghi più impensabili, nelle situazioni più ordinarie. Nel mio caso, ho conosciuto Antonia Pozzi in un banale pomeriggio primaverile all’Università della Terza Età. Ebbene sì,  accompagnando mia nonna più per amore che per interesse, ho avuto la fortuna di assistere ad una lezione incentrata su una poetessa (semi) sconosciuta di Milano, vissuta nella prima metà del novecento. 

Come introdurre un personaggio del genere? Beh, Antonia Pozzi è il soggetto perfetto per un film biografico, uno di quelli in costume che mi fanno impazzire, con Keira Knightley ad interpretarla e una fotografia dai colori pastello (“Antonia” di Ferdinando Cito Filomarino potrebbe essere un esempio).

Nasce in una famiglia della Milano bene, il padre è un facoltoso avvocato, la madre ha il sangue blu e una dote cospicua. Conduce una vita perfetta, fatta di cultura, viaggi e sport che solo le signorine di una certa elevatezza sociale possono permettersi. Fin da subito risulta portata per la scrittura e riempie diari interi di pensieri e versi; pare aver assorbito come una spugna il fermento culturale della sua epoca e così compone con disarmante naturalezza poesie che risentono dello stile crepuscolare, introspettive ed ermetiche, che però, al contempo, sono forti come quei sentimenti angosciosi propri dell’espressionismo tedesco, specie per quel mal di vivere che colpisce i giovani. Del resto, il male di vivere e la morte sono temi ricorrenti nelle pagine di un’adolescente un po’ asfittica, timida, che sogna in una gabbia d’oro di potersi perdere tra le montagne di Pasturo, Lecco. 

Gioia di cantare come te, torrente;
gioia di ridere
sentendo nella bocca i denti
bianchi come il tuo greto;
gioia d’essere nata
soltanto in un mattino di sole
tra le viole
di un pascolo;
d’aver scordato la notte
ed il morso dei ghiacci.

Il grande Thomas Stearne Eliot ne apprezzerà «la purezza e l’onestà d’animo» che non può non emergere da delle poesie così acerbe, una sorta di escamotage per cogliere il senso delle cose che, come da manuale, sfugge sempre. Non è un caso che ci sia qualcosa di incompleto nella vita come nei versi di Antonia, un’incompiutezza che la rende ancora più attiva e prolifica nei suoi splendidi vent’anni. Ho sempre pensato che la poesia nascesse da qui, da un sentimento non ben identificato di nostalgia, di tensione, di ricerca, forse quell’Eros di cui parla Platone o se vogliamo rimanere sul quotidiano, quella sensazione che si ha quando un amore non è stato ancora palesato, ma si intuisce. Questo strano moto, forse, ha condotto la giovane poetessa a cercare nella realtà ciò che riusciva a delineare nella mente, nei versi delle sue poesie. 

Dopo un amore spirituale, ambiguo e contemporaneamente morboso con il suo insegnante di Latino e Greco del Liceo, un certo Antonio Maria Cervi, Antonia non riesce a far breccia nel cuore di nessuno e quell’incompiutezza divenne fossile, greve come un macigno sul suo petto. Montale d’altro canto, definirà le sue parole come “asciutte e dure come i sassi”. Ciò che mi ha più colpito di questa giovane donna è la consapevolezza dei suoi stati d’animo, della sua condizione, del suo essere mancante, desiderosa di amore, così come risulta evidente in questa poesia. 

Guardami: sono nuda. Dall’inquieto
languore della mia capigliatura
alla tensione snella del mio piede,
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
e le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m’inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m’inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.

A scuola non si cita nemmeno, in libreria ci sono pochissime antologie, i suoi testi sono ancora oggetto di lunghe indagini filologiche e di archivio, e non importa se è colpa di una famiglia che ha cercato di mascherare il suo suicidio a soli ventisei anni, assieme ai suoi versi più espliciti sull’amore e sulla morte, Antonia c’è stata e rimarrà sempre una voce chiara e limpida della lirica del suo secolo. 

La ringrazio per avermi insegnato che la letteratura va oltre il Baldi, il Luperini o la prima prova d’esame “bossettico”, perché non ci sono solo categorie dove accatastare tutti gli autori da portare all’esame, ci sono storie e parole che valgono la pena di essere conosciute. 

Iris Furnari

Il prezzo della libertà

Labirinto e fantasia
Siepi simmetriche che attirano i miei occhi
ad esplorarle
e mi incammino non senza paura,
ma anche fiducioso di arrivare lì
dove gli spazi aperti mi fanno respirare
e gioire di essere vivo.

Sensazioni che pulsano di un battere e levare,
dissonanze
Sensazioni che vibrano nel mio intimo
Un abbraccio al mondo che mi circonda

Un cammino lungo un percorso di meraviglie
e sconfinati scenari
fatti di persone e cose
che influenzano il mio pensare
Vorrei parlarti di Amore e profumi speziati
che condiscono il tuo sguardo
quando sei te stessa.

Questa natura, madre terra
ci accoglie,
e io percorro sentieri che mi portano verso
la realizzazione dei miei sogni di bambino piccino.

Quel che sono stato sempre,
e sempre sarò
Me stesso
Il prezzo della libertà, labirinto e fantasia
nel mezzo il mondo, la terra,
il cielo, il sole, la luna, le stelle, i pianeti
Il prezzo della libertà è realizzare i sogni

le utopie, l’uguaglianza, l’onestà
Siepi simmetriche e spazi stellati
Infinito e cosmico
granelli di sabbia nell’universo.

Alessandro Scaparro

L’anarchica bastarda

Il freddo caldo o il caldo freddo,
cade giù da solo, incredibilmene fiacco,
formicola pian piano,
nemmeno dieci ore sulla neve.

Le dinoccoli ma nulla,
calma piatta.
La farfalla in pvc
versa
nettare fresco e trasparente.

Chi per un verso, chi per l’altro,
quando chiami ora rispondono.
Si torna lentamente
a quel nuovo cammino.
Cilindro assordante e donazioni sgradite,
fino al prossimo temporale.

Luca Fiorentino