Persone con grandi problemi irrisolti, vengono invitate e riunite in un luogo isolato e dovranno fare i conti con i loro peccati. Non finisce bene. L’orrenda sinossi si adatta in maniera più o meno accurata a due gialli. “And then there were none” del 1939 di Agatha Christie (noto in Italia come “10 piccoli indiani”) e il più modesto “G20 2018: Buenos Aires”. Gli onori di casa in quest’ultimo li fa il presidente argentino Mauricio Macri, che in tempi non sospetti definì l’evento come “Il più importante della storia argentina” (sottovalutando clamorosamente la fantasia del suo popolo). L’importanza del G20 sta nel riunire annualmente le più alte cariche dello stato delle 19 maggiori economie mondiali e una rappresentanza dell’Unione Europea. Se il nostro G20 fosse realmente un giallo, il presidente Macri avrebbe buone ragioni di essere il nostro assassino. La sua presidenza nasce sotto una buona stella con proclami di apertura al mondo, prospettive future di crescita e relativa serenità per l’Argentina oltre all’assegnazione dell’evento G20 utile per promuovere il nuovo corso del paese. L’avvento del 2018 sembra aver portato una serie di cataclismi frutto di congiunture sfortunate, e il governo di Macri infila un “triplete” costituito da crisi del Peso argentino di fine agosto (che ha visto la moneta svalutata del 50%), il fallimento delle trattative sul trattato di libero scambio tra Unione Europea e Mercosur (anche a causa dell’elezione in Brasile di Bolsonaro che lo avversa), accordo che Macri avrebbe voluto annunciare proprio in occasione dell’evento e che avrebbe rappresentato il grimaldello per l’entrata in mercati redditizi, e infine la brutta vicenda riguardante i tifosi di Boca Junior e River Plate allo stadio Monumental, che ha fatto sì che i riflettori su Buenos Aires si accendessero ben prima di quanto auspicato dalla Casa Rosada e per i motivi sbagliati. Continua a leggere →