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Imperialismo e Aringhe Affumicate

“Userò i Conservatori, per carpire i tuoi segreti. Per capire cosa pensi, nei tuoi PMQ intensi, nei tuoi Trump americani, così British e così volgari, fatti un po’ a cazzo di cane. Userò gli occhi di Boris come fa un dottore cieco quando che opera i pazienti, stanno tutti molto attenti”

La nuova stagione di Boris è appena iniziata e purtroppo questa volta non riguarda un pesce rosso in un boccia di vetro. È invece iniziata con un pesce avvolto in una confezione di plastica. Proprio quell’aringa affumicata che Boris Johnson sventolava all’ennesimo comizio accusando l’Unione Europea di imporre al Regno Unito regole che costringevano a plastificare il pesce affumicato proveniente dall’Isle of Man, con un forte aumento del costo economico e ambientale per i pescatori e lo Stato di Suà Maestà. Purtroppo è saltato fuori che in verità la legislazione che imponeva questo tipo di conservazione era puramente di stampo britannico e che l’Unione Europea non c’entrava nulla. Poco importa: questo scivolone, assieme a molti altri spergiuri e incorrettezze, non ha impedito a Boris Johnson di diventare Primo Ministro del Regno Unito lo scorso 23 luglio, sconfiggendo il proprio rivale Jeremy Hunt con una percentuale di voti conservatori del 66%, succedendo a Theresa May come nuovo leader del partito al governo.

Nato a New York, ha studiato ad Oxford e lavorato per un bel po’ di tempo a Bruxelles come inviato speciale sulle vicende europee, cogliendo  quest’opportunità per lanciare il suo nuovo ed unico approccio degli euromiti al giornalismo internazionale. Non di grande rilievo attestare la veridicità dei suoi racconti: l’importante è spesso stato perpetrare una visione personale euroscettica più che la realtà dei fatti.

Il suo stile è particolare: noto per frasi lapidarie e senza mezze misure, ha accostato l’aspetto estetico delle donna con il burka alle cassette delle lettere e definito le popolazioni di colore del Commonwealth Britannico con epiteti razzisti e dispregiativi. Nonostante questo, ha sempre dimostrato un grande talento nell’esaltare i bisogni delle persone per farle sentire comprese, giostrando spesso l’opinione con toni forti ma ben indirizzati a quello che i cittadini richiedevano. Banalmente, è stato la massima espressione della campagna Leave nel 2016 la quale ha portato all’attuazione della Brexit. Celebri i suoi double-decker con le mendaci scritte sulle fiancate per fomentare la rabbia dei cittadini britannici (“ogni anno noi inviamo all’Unione Europea 350 milioni di dollari: riusiamoli per finanziare il Sistema Sanitario Nazionale”) per le quali è stata aperta anche un’inchiesta contro alcuni collaboratori di Johnson. Quelle scritte, assieme ad una violenta propaganda mediatica, sono riuscite però a portare alla vittoria quel lato dell’elettorato euroscettico e desideroso di entrare in quella che Johnson ha definito nella sua prima sessione di PMQ, “la nuova era d’oro del Regno Unito”.

Il suo ingresso a Downing Street n°10 non è stato sicuramente leggero né tantomeno sottotono: il nuovo Primo Ministro ha subito provveduto ad una sostanziale sostituzione di Ministri con forte figure sostenitrici della Hard Brexit, per la costruzione di uno dei governi più di destra e conservativi che la Gran Bretagna non vedeva dai tempi della Thatcher. Tra i tanti, il nome che ricorre più spesso è quello di Priti Patel, conservatrice parlamentare della House of Commons per la circoscrizione di Whitam, nominata Ministro degli Interni tra lo sgomento di molte figure poltiche di Westminister. Sì perché Ms Patel ha dimostrato più volte la sua simpatia verso la reintroduzione della pena capitale negli anni passati, costretta alle dimissione nel precedente governo per aver tentato di indirizzare i soldi per l’aiuto straniero del Regno Unito verso l’esercito israeliano. Altri Brexiteers sono presenti all’interno della squadra di gabinetto: Jacob Rees-Moog, Dominic Raab, Andrea Leadsom, Micheal Gove. Ognuno di loro è disposto a seguire Boris Johnson nella sua promessa di uscita dall’Unione Europea il 31 ottobre, con o senza accordo. 

Probabile senza.

Anche l’Europa ha dichiarato di non voler continuare a prolungare le trattative riguardo l’accordo e la varie concessioni richieste dal Regno Unito: l’Unione si rifiuta di rivedere l’accordo già stabilito con la May. Molti cittadini vedono sempre maggiore la necessità di fare marcia indietro nel processo di uscita, tra cui, non sicuramente tra gli ultimi da considerare, il Labour Party: anche il suo leader Jeremy Corbyn ha dovuto cambiare approccio ed esplicitamente supportare il lato Remain per via delle dure politiche minacciate dal nuovo Primo Ministro e dalle spinte interne al suo partito.

Il populismo del cosiddetto Trump Britannico è dunque la grande minaccia del Regno Unito al momento: l’ex-sindaco di Londra e Ministro degli Esteri ha acquisito sicuramente nei suoi anni di carriera politica una grande abilità di convincimento delle masse e strategie politiche non sottovalutabili da parte di nessuno. Lo stile esplosivo, carismatico e verbalmente violento è ciò che i sostenitori della Brexit aspettavano da tempo e che non hanno trovato all’interno della figura di Theresa May.

È partito il countdown per la più grande e spaventosa festa di Halloween nel Regno Unito da tanti anni.

Ora Boris Johnson ha circa un centinaio di giorni per portare avanti il suo piano e trascinare il Regno Unito al di fuori dell’Unione Europea, volente o nolente. Sì perché il punto è questo: non c’è più la voglia di sentire le necessità di un Paese dopo tre anni dal voto, né il confronto è visto come una possibile soluzione. Deal o No-Deal, poco importa. La Gran Bretagna deve uscire dalle catene burocratiche dell’Unione Europea che impacchetta i pesci britannici, senza  alcuna remora, in miseri sacchetti di plastica e sottrae risorse fondamentali al Sistema Sanitario Nazionale. Ci sono troppi immigrati all’interno del Regno Unito che apportano più danni che benefici e le costrizioni commerciali tolgono al Regno di Sua Maestà il suo ruolo egemone ed imperialista di un tempo che, dopo la Brexit, tornerà ad essere “Il più Grande Paese sulla Terra”. 

Poco importa che tutto ciò sia vero o no. La verità non è quello che interessa al momento, né al Partito Conservatore, né tantomeno al Primo Ministro. L’unico punto è che il Regno Unito dovrà uscire dall’Unione il 31 ottobre. Ed uscirà al 31 ottobre.

Volente o nolente.

Matteo Caruso


Sitografia:

https://www.theguardian.com/politics/live/2019/jul/25/boris-johnson-new-cabinet-prime-minister-chairs-first-cabinet-as-critics-say-party-now-fully-taken-over-by-hard-right-live-news

https://www.washingtonpost.com/opinions/2019/07/23/boris-johnsons-victory-proves-its-fiction-not-fact-that-tories-want-hear/?utm_term=.2460a155ab72 

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Boris-Johnson-Brexit-il-31-ottobre-Diventeremo-il-piu-grande-paese-della-terra-f59fced3-b1f3-4769-b441-e297f2e868a0.html?refresh_ce 

https://www.bbc.com/news/uk-politics-49118107 

https://www.theguardian.com/politics/live/2019/jul/25/boris-johnson-new-cabinet-prime-minister-chairs-first-cabinet-as-critics-say-party-now-fully-taken-over-by-hard-right-live-news  

https://www.independent.co.uk/news/uk/politics/priti-patel-cabinet-home-secretary-boris-views-beliefs-israel-ireland-death-penalty-a9018616.html

https://edition.cnn.com/2019/07/13/uk/boris-johnson-profile-world-king-intl-gbr/index.html

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Un Regno Diviso

Guinea, 1957. Samoa e Jamaica, 1961. Algeria, 1962. Slovenia, 1990. Sud Sudan, 2006. Scozia, 2014. Sono settant’anni che il mondo intero sperimenta la più forte forma di democrazia diretta in materia di indipendenza nazionale. Dal 1957 sono stati portati avanti innumerevoli referendum per l’indipendenza in tutto il mondo, molti dei quali si sono rivelati vittoriosi, conferendo il potere dell’autonomia a diverse minoranze e popolazioni. È passato tanto tempo, le nuove generazioni non hanno la concezione di ribellioni violente, dalle rivoluzioni si è passati alle riforme e alla moderazione delle istituzioni.

Non è stato però così per tutti.

Per decadi la Gran Bretagna e l’Irlanda sono stati i protagonisti di violente rivolte e attacchi terroristici da parte degli irlandesi nazionalisti che dichiaravano l’indipendenza dell’intera isola di origini gaeliche. All’inizio dello scorso secolo, prese vita l’organizzazione terroristica Irish Republican Army, meglio conosciuta come I.R.A. un gruppo di guerriglieri armati con lo scopo di rendere l’Irlanda un Paese indipendente dalla corona britannica. Nel 1921, dopo cinque anni di guerra civile e migliaia di morti, l’Irlanda divenne a tutti gli effetti indipendente ma ad un caro prezzo. Essa fu divisa in due parti distinte: la Repubblica d’Irlanda, stato oramai indipendente, e quella che a tutt’oggi è conosciuta come l’Irlanda del Nord, parte integrata del Regno Unito, politicamente separata dal resto dell’isola.

La tensione per decadi rimase e venne accentuata da forti discriminazioni dagli unionisti protestanti verso la parte di irlandesi di stampo cattolico, promotori dell’indipendenza dell’intera isola. Gli scontri riemersero più accesi quando l’Irlanda decise di uscire dal Commonwealth britannico nel 1949. La tensione fra i Cattolici nazionalisti e i Protestanti unionisti al governo crebbe fino agli scontri nel 1962 che diedero vita al ventennio definito come The Troubles. Il 5 ottobre 1968 nella città di Londonderry, nell’Irlanda del Nord, una marcia per i diritti civili si concluse con dei violenti scontri tra i manifestanti e la polizia britannica, nei quali fu gravemente ferito anche un parlamentare. Da lì in poi, l’Irlanda ed il Regno Unito furono testimoni di violenti attacchi terroristici da parte dell’I.R.A. Nel 1972, nello stesso scenario degli eventi del 1968, a Derry, prese luogo quello che ad oggi è conosciuto come Bloody Sunday. In una marcia per i diritti civili alla quale presero parte circa 15.000 persone, la violenza esplose in uno scontro tra rocce e proiettili, in cui 13 manifestanti furono colpiti ed uccisi dalle forze dell’ordine. Il processo da parte delle famiglie è perdurato per anni prima di poter vedere giustizia. Nel 1984, a Brighton, l’hotel dove risiedeva l’allora Primo Ministro Margaret Thatcher fu colpito da un attacco terroristico dell’I.R.A. dal quale la Donna di Ferro riuscì ad uscire illesa.

Il periodo dei troubles è perdurato in un clima di terrore e tensioni fino al 1998, quando fu siglato il Good Friday Agreement o accordo di Belfast. Dopo che l’I.R.A. annunciò di aver cessato bombardamenti e attacchi e dopo due anni di intense trattative, si giunse ad un compromesso tra unionisti e nazionalisti in cui un’Assemblea dell’Irlanda del Nord fu formata, con una più equa divisione dei poteri decisionali da parte delle due fazioni. Per gli anni avvenire il forte clima di tensione fu acquietato notevolmente ma non si è stati capaci di spegnerlo del tutto.

Per l’Irlanda e i suoi abitanti il sentimento di violenza scorre tutt’oggi nel sangue della giornalista irlandese ventinovenne Lyra McKee sparso proprio sulla strada di Londonderry, dove anni prima iniziò una delle epoche più nere del Regno Unito e dell’Europa moderna. La violenza scorre dalla pallottola della Nuova Irish Republican Army che ha colpito la giovane alla testa durante uno scontro con le forze dell’ordine britanniche. La nuova organizzazione ha pubblicamente dichiarato le sue scuse per l’uccisione involontaria della giornalista, la quale si trovava sul luogo per un servizio sulle nuove rivolte dei nazionalisti irlandesi.

Ms McKee era una brillante giornalista, cresciuta in una famiglia di lavoratori a Belfast. Omosessuale, ha sostenuto per tempo le battaglie sui diritti civili e fu nominata dalla rivista Forbes come tra le migliori “30 sotto i 30” figure di comunicazione di maggior rilievo in Europa.

Il 23 giugno 2016 il Regno Unito non ha solo votato per uscire dall’Unione Europea. Il 23 giugno 2016 ha riportato alla luce quelle che sono le cicatrici di un Paese in cui le forze indipendentiste sono ora più forti che mai. Per mesi si è considerato il problema del mercato unico e della dogana come una mera questione di contratto, come un accordo formale tra due potenze commerciali. Probabilmente non è così. Il libero movimento di persone e merci è stato ciò che ha permesso una maggiore coesione tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, permettendo agli irlandesi di sentirsi parte di un’unica identità. Rimane difficile non pensare ai 30 anni di attentati, uccisioni, repressioni violente e denunce sociali quando si parla della questione dell’Irlanda del Nord.

Non si sa ancora in che modo il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea, se con un accordo aperto o una linea dura su tutto il fronte. Non si sa neanche se il Regno di Sua Maestà prenderà parte alle elezioni europee di fine maggio. Certo è, se negli anni avvenire non sarà facile essere europei all’interno del Regno Unito, riuscire ad essere irlandesi sarà tutta un’altra storia.

E la Scozia aspetta.

Matteo Caruso


Sitografia:

https://www.forbes.com/sites/niallmccarthy/2014/09/19/every-independence-referendum-over-the-past-7-decades-how-scotland-compares-infographic/

https://www.nytimes.com/2019/04/23/world/europe/lyra-mckee-new-ira-apology.html

https://www.nytimes.com/2018/10/04/world/europe/northern-ireland-troubles.html?module=inline

https://www.bbc.co.uk/newsround/14118775

I sette anni in fuga di Julian Assange

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Questa è stata una bizzarra svolta in una storia già difficile da sbrogliare: giovedì mattina, gli agenti della Polizia metropolitana del Regno Unito sono arrivati a Londra, all’ambasciata latinoamericana della Repubblica dell’Ecuador per arrestare un uomo che per alcuni è un eroe della verità e della trasparenza, per altri un mero fuggitivo dalla giustizia. Julian Assange, che era rifugiato nell’ambasciata dal 2012, avendo avuto asilo garantito dall’Ecuador, non accennava ad uscire volontariamente. Allora è stato trascinato fuori. Quando è stato portato via dai poliziotti in un van lì fermo, non sembrava più quella figura feroce, dall’aspetto intelligente che era stato meno di una decade fa – sembrava avere vent’anni di più, con una lunga barba bianca e ha borbottato suppliche alle autorità del Regno Unito mentre veniva portato via. Cosa è successo?

 

L’eroe

Tornando nel 2010, Assange aveva un trionfo da celebrare. L’hacker australiano di nascita e appassionato di computer aveva fondato un’organizzazione chiamata WikiLeaks nel 2006, concepita come una piattaforma per informatori per esporre in sicurezza i segreti delle potenze mondiali. Portando i segreti all’aria aperta, WikiLeaks sperava di trasformare dibattiti pubblici e di portare cambiamenti positivi. Inoltre, c’è un insito valore nel sapere la verità, se le rivelazioni portano al cambiamento o meno. Nel 2010, WikiLeaks poteva vantare un successo enorme: da una fonte all’interno dell’esercito degli Stati Uniti, aveva ricevuto centinaia di migliaia di documenti governativi segreti. I fascicoli includevano rapporti dalle forze amate statunitensi in Iraq e Afghanistan, bollettini quotidiani che rivelavano una realtà della “guerra al terrorismo” molto più macabra di quanto i politici americani erano stati disposti ad ammettere. Un video girato da un elicottero da combattimento Apache in Iraq rappresentava soldati statunitensi sparare, e uccidere, civli iracheni – e vantarsene, come se si trattasse di un videogioco. WikiLeaks inoltre ha ottenuto 250,000 telegrammi diplomatici dal Dipartimento di Stato, molti dei quali valutazioni franche in modo imbarazzante dei leader stranieri da parte dello staff dell’ambasciata degli Stati Uniti. Tutto ciò ha fatto scoppiare una bomba: un piccolo gruppo di cyber-attivisti appassionati aveva umiliato il governo degli Stati Uniti di fronte al mondo intero.

La caccia

Ma questo genere di lavori porta con sé anche un rischio: il governo degli Stati Uniti non è un avversario da sottovalutare, e la fuga di notizie riguardava temi sensibili per la sicurezza nazionale. Sotto il presidente Obama, il Dipartimento di giustizia ha assunto un approccio molto duro nei confronti degli informatori. Nel maggio del 2010, la fonte di WikiLeaks è stata identificata in Chelsea Manning, un’analista dell’esercito che stazionava in Iraq. Manning è stata arrestata, processata e ha ricevuto una sentenza di trentacinque anni di carcere dalla corte militare nel 2013. Durante parti della sua detenzione, è stata mandata in isolamento, tenuta nuda e guardata quasi continuamente, presumibilmente perché era a rischio di commettere un suicidio. Alla fine della sua presidenza, Obama ha commutato la sua sentenza, ed è stata rilasciata lo scorso maggio (sebbene sia stata incarcerata di nuovo quest’anno perché si rifiutava di testimoniare al Gran Jury riguardo l’indagine su WikiLeaks).

Ma nel 2010, anche Assange sentiva il nodo stringersi intorno a lui. Era andato in Svezia, un posto che pensava sarebbe potuto essere un fedele difensore della stampa e della libertà d’informazione. E, invece, in Svezia non è finito nei guai per la gestione di WikiLeaks. Ma per qualcos’altro. Due donne con cui aveva fatto sesso sono andate a parlare alla polizia, chiedendo che fosse esaminato per la trasmissione di malattie sessuali, ma la descrizione del suo comportamento ha messo in allerta gli agenti. La polizia svedese stava investigando su di lui per le accuse di violenza sessuale. Così ha lasciato il paese, dopo aver saputo che le autorità svedesi gli avevano dato il permesso. Nel dicembre del 2010 è arrivato a Londra. Nel frattempo, le autorità svedesi avevano deciso di voler insistere con il loro caso, e avevano emesso un mandato d’arresto per Assange. Lui ha contestato la decisione da Londra, sostenendo che fosse solo uno stratagemma degli americani per rovinare la sua reputazione, e che se fosse tornato in Svezia sarebbe stato a rischio di estradizione negli Stati Uniti, dove sarebbe stato perseguito e severamente punito per la fuga di notizie. Per molti di coloro che continuano a supportarlo, queste paure erano fondate e giustificate. Gli altri la vedevano come una cinica mossa per confondere i suoi guai personali con la legge con l’attuale campagna contro WikiLeaks, riformulando in questo modo le accuse contro di lui non come un’ordinaria indagine penale, ma come una chiusura geopolitica. Per altri, questo sarà ciò che renderà più difficile supportarlo ora, nel momento in cui è in guai più profondi come mai prima d’ora.

In ogni caso, Assange non aveva intenzione di lasciar decidere tutto alla magistratura. Quando, nell’estate del 2012, la Corte Suprema del Regno Unito ha bloccato il suo ultimo appello contro l’estradizione in Svezia, Assange si è travestito ed è entrato nell’ambasciata dell’Ecuador. Si è identificato e ha richiesto asilo. Assange si era sentito sotto sorveglianza per un momento, ma ora nessuno poteva dubitarlo più. La polizia metropolitana aveva circondato l’edificio della piccola ambasciata. La stampa mondiale era piombata su di lui. Sembrava un assedio. Nell’ambasciata era salvo – poiché le autorità locali non hanno giurisdizione sulle ambasciate straniere, la polizia britannica non poteva semplicemente entrare e arrestarlo (sebbene il Regno Unito inizialmente avesse minacciato di togliere all’ambasciata il suo status diplomatico). Sotto il presidente di sinistra in Ecuador Rafael Correa, Assange aveva l’asilo assicurato, e più tardi sarebbe anche diventato cittadino del piccolo paese dell’America Latina. Era, per ora, salvo – dalla Svezia, dall’estradizione, dalla prigione americana ad alta sicurezza. Ma non era libero – l’ambasciata è diventata la sua prigione. Non poteva lasciarla perché fuori sarebbe stato sul suolo britannico e vulnerabile all’arresto in qualsiasi momento.

Gli ecuadoriani presto hanno trovato un ospite difficile. Assange non andava oltre l’esprimere gratitudine ai suoi ospitanti. Anzi, li criticava in modo sempre crescente, accusandoli di spiarlo (un’accusa non del tutto infondata) e presentando perfino una querela. Anche l’Ecuador è diventato meno ospitale, tagliando il suo accesso a internet, esercitando controlli su coloro che lo venivano a trovare. E poi sono arrivate le elezioni del 2016.

Il collegamento russo

Durante la campagna elettorale statunitense del 2016, il Partito Democratico e la sua candidata Hillary Clinton sono stati colpiti da una serie di rivelazioni compromettenti. Insieme ad altri siti, WikiLeaks ha pubblicato delle email ottenute da un hack ai server del Democratic National Committee (DNC) e ad altri membri del personale della Clinton, tra cui John Podesta, il responsabile della sua campagna elettorale. Le email provavano, tra le altre cose, l’esistenza di pregiudizi contro il primo contendente alla leadership democratica della Clinton, Bernie Sanders, all’interno della DNC. I leak hanno provocato delle dimissioni e accresciuto le tensioni nel Partito Democratico. Ma un uomo non poteva farne a meno: Donald Trump, l’avversario repubblicano della Clinton, che aveva affermato di “apprezzare molto” WikiLeaks, parlandone svariate volte in campagna elettorale (ieri ha detto di non esserne interessato). Mentre WikiLeaks pubblicava documenti interni al Partito Democratico, non c’erano allo stesso tempo leak simili per i repubblicani o Trump. E alla luce delle indagini sull’ingerenza russa nelle elezioni condotte dal Consiglio speciale presieduto da Robert Mueller, è stato rivelato che alcune figure che gravitavano nell’orbita di Trump – incluso il consulente una tantum Roger Stone – hanno cercato di stabilire linee di comunicazione dirette con WikiLeaks.

Dopo le elezioni, i servizi segreti americani hanno concluso che i server della DNC sono stati hackerati da hacker che lavoravano per il governo russo, come parte di una presunta campagna atta a destabilizzare le elezioni, il loro sistema politico e sfruttare l’aggravarsi delle divisioni nella società americana. WikiLeaks e Assange hanno negato di aver ricevuto le e-mail dagli agenti russi, e in effetti sembra che i servizi di intelligence russi abbiano utilizzato intermediari per passarli a Wikileaks. Se un uomo dell’intelletto e dell’istinto di Assange potesse veramente ignorare le probabili origini dei documenti è una domanda aperta – specialmente perché lui stesso ha insistito sul fatto che la sua fonte non gli importa, si preoccupa solo della verità che viene fuori. È questo approccio, tra le tante cose, che ha portato alcuni dei suoi primi sostenitori a disilluderlo. C’è chi si lamenta della sua personalità, chi della sua leadership. Ci sono quelli indignati per aver usato WikiLeaks come scudo per evitare di affrontare le accuse contro di lui emerse in Svezia. E ci sono quelli sgomenti del fatto che quando ha rilasciato i documenti del governo degli Stati Uniti nel 2010, non pensava che fosse eccessivamente importante redigere i nomi delle persone che lavorano per il governo americano in tutto il mondo – nonostante il fatto che il loro nome fosse sui giornali, avrebbero potuto mettere a repentaglio la loro sicurezza personale. Forse anche questo fu un motivo per cui Edward Snowden, l’impiegato della National Security Agency (NSA) che lasciò gli Stati Uniti nel 2013 con un mucchio di documenti segreti che documentavano un massiccio programma di sorveglianza mondiale, non considerò WikiLeaks come il suo alleato naturale nella pubblicazione dei documenti. Invece, ha lavorato con una regista, Laura Poitras, e altre agenzie di stampa per selezionare, modificare e pubblicare accuratamente i documenti.

Anche l’Ecuador non ha avuto una pazienza illimitata. Con WikiLeaks che continuava a minare i governi di tutto il mondo, l’Ecuador è stato sottoposto a crescenti pressioni per smettere di proteggerlo. Il suo carattere e le sue abitudini irritavano il personale dell’ambasciata. Infine, la permanenza nell’ambasciata non avrebbe funzionato per sempre: se Assange si fosse ammalato gravemente, non sarebbe potuto andare in ospedale senza dover affrontare un probabile arresto. L’Ecuador ha poi avuto un’elezione e un governo meno favorevole ad Assange si è insediato. Quindi gli eventi di ieri erano, forse, destinati a verificarsi a un certo punto. Non li ha resi meno sorprendenti.

Fine del gioco

Ieri pomeriggio, gruppi di giornalisti di tutto il mondo stavano aspettando fuori dal tribunale dei magistrati di Westminster, nel centro di Londra, dove sarebbe apparso Assange. Cameraman e giornalisti hanno condiviso il marciapiede con una manciata di manifestanti accusando la Svezia, gli Stati Uniti e il Regno Unito di tentare di mettere a tacere Assange per le rivelazioni di Wikileaks circa i crimini di guerra degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan. Subito dopo l’arresto, le autorità statunitensi hanno fatto una richiesta di estradizione e hanno svelato un’accusa che era stata archiviata in segreto l’anno scorso. In Svezia, una delle due donne che aveva accusato Assange di cattiva condotta ha chiesto al pubblico ministero di riaprire il caso, che nel frattempo era stato chiuso. Alla Corte 1, che ha dovuto smettere di far entrare gli spettatori perché la galleria era piena di giornalisti, Assange è apparso in una “scatola di vetro”. I suoi avvocati hanno sostenuto che un giudice che aveva precedentemente presieduto il procedimento era stato condizionato perché suo marito era stato preso di mira da WikiLeaks. Ma il giudice Michael Snow ha rimproverato la difesa per aver fatto tali accuse di fronte alla stampa senza che il giudice potesse difendersi. Ha etichettato Assange come un narcisista e ha descritto come “risibile” l’idea di non aver ricevuto un processo equo. Snow ha giudicato Assange colpevole del reato di cui è stato accusato ai sensi della legge del Regno Unito, saltando la cauzione.

Dovrà affrontare fino a dodici mesi di prigione nel Regno Unito e la sentenza verrà emessa da un tribunale più tardi durante l’anno. Snow ha messo Assange in stato di fermo e programmato un’altra udienza, sulla richiesta di estradizione negli Stati Uniti, per maggio. Assange è accusato di assistere Manning nell’hacking di un database segreto del governo degli Stati Uniti, un’accusa che comporta fino a cinque anni di reclusione. Per ora, non è stato accusato di pubblicare il materiale trapelato – in parte perché, come hanno concluso gli avvocati del Dipartimento di Giustizia nell’era di Obama, non potevano addebitare ad Assange la pubblicazione senza ricorrere a media come il New York Times che aveva anche pubblicato sui giornali – e questo sarebbe stato un duro colpo per la libertà di stampa. Per i suoi avvocati e sostenitori, ovviamente, l’estradizione di Assange è ancora una minaccia per la libertà di informazione. E poi c’è ancora il suo caso svedese, che potrebbe essere riaperto. Durante la sua vita da crociato e provocatore sfidando i potenti del mondo, ha fatto affidamento sulla sua immagine pubblica e sui suoi fan determinati per tenerlo a galla. Ma Assange è un personaggio complesso, e le sue azioni negli ultimi anni gli sono costate supporto. Alle 16:00 di ieri, un furgone bianco ha condotto Assange fuori dalla corte dei magistrati di Westminster – in prigione nel Regno Unito, per ora, e in un futuro incerto.

David Zuther
Traduzione di Martina Moscogiuri e Claudio Antonio De Angelis

1000 giorni di Brexit

1000 giorni. Come le mamme che non si arrendono a tradurre in termini immediatamente comprensibili i 18 mesi del proprio figlio, torniamo a parlare di Brexit in questi termini che corrispondono all’esatta distanza che separa il 23 giugno 2016 al 20 marzo 2019, un po’ perché non sembra esser passato tutto questo tempo dal voto, un po’ perché i media non ce ne hanno fatto sentire la mancanza nemmeno per un minuto e i toni della vicenda si sono sempre tenuti ben al di sopra di quelli che ci saremmo aspettati dalla politica britannica. Continua a leggere

45 anni: storia d’amore e segreti

Se pensiamo ad un cinema delle relazioni casalinghe ci tornano alla mente delle coppie, i loro ricordi degli anni passati insieme, case curate con amore. Tutto meticolosamente pulito, ordinato e pronto a cedere per una rivelazione, un fantasma del passato o estranei che entrano a sconvolgere solidi equilibri.

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