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Internet: un posto libero?

Quando si parla di internet vi si pensa come un’arena senza limiti né confini all’interno della quale l’utente può fare praticamente tutto. In realtà però, e più spesso di quanto si pensi, non è così. Un fattore tanto conosciuto quanto sottovalutato è infatti la censura di internet.

Quando vi si riferisce si parla soprattutto del controllo che i governi esercitano su internet bloccando le comunicazioni e lo scambio di informazioni, oppure tenendo opportunamente sotto controllo gli organi di stampa e i social network. Questa censura può essere effettuata o dai governi stessi, o da società private sovvenzionate da chi controlla il potere nel Paese, o da apposite autorità di controllo statali.

Il primato va alla Cina, seguita da Siria e Iran. Paesi come gli Stati Uniti, l’India, la Corea del Nord o il Brasile, nei quali è presumibilmente ipotizzabile possa esserci un controllo di internet da parte del governo, non sono classificabili in quanto non vi sono dati né mezzi per monitorarli.

In Paesi come Siria, Bahrain e Iran il monopolio statale delle infrastrutture consente di bloccare l’accesso a internet a comando, o di rallentare la connessione in momenti delicati quali elezioni o proteste di piazza. Quest’opera di censura e sorveglianza di Internet non sarebbe però possibile senza gli strumenti sviluppati dalle aziende del settore privato che hanno sede nei paesi occidentali. L’Information Network Security Agency dell’Etiopia ha rintracciato i giornalisti dissidenti negli Stati Uniti grazie a spyware forniti da Hacking Team, un’azienda italiana. Anche l’NSA ha utilizzato i servizi di VUPEN, una società francese specializzata nell’individuare e sfruttare le falle nella sicurezza. Non sono però solo le aziende private a fornire materiale dei nemici della libertà di navigazione online: la Russia ha esportato il suo sistema di sorveglianza SORM in Bielorussia e Ucraina. La Cina, specializzata nel controllo delle informazioni da prima che fosse eretta la Grande Muraglia, supporta l’Iran nella creazione di un’Internet Halal, una rete nazionale autarchica e indipendente dal World Wide Web, e nell’identificazione dei reati informatici; sempre la Cina starebbe lavorando col Governo dello Zambia per installare una rete di sorveglianza Internet, a cominciare dal blocco dei siti indipendenti Zambia Watchdog e Zambia Reports; la stessa Cina che presente anche in Uzbekistan da ZTE , principale fornitore del paese di modem e router.

Nella foto sono evidenziati in verde i Paesi dove non vi è evidenza di filtri e con sfumature d’intensità crescente di viola i Paesi con una censura via via più pervasiva.

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Il 12 marzo si celebra la Giornata mondiale contro la cyber censura, con lo scopo di porre l’attenzione su un tema che viene spesso e volentieri, soprattutto in Occidente, snobbato in quanto ritenuto forse troppo distante, forse impossibile da vedere anche a queste latitudini del mondo.

Questa giornata, indetta dal 12 marzo del 2010, è promossa dall’organizzazione non governativa denominata Reporter senza frontiere, il cui obiettivo è evitare che venga eliminato il diritto di ognuno ad esprimere la propria opinione. Fondata nel 1985 dal giornalista francese Robert Ménard a Parigi, ma con ormai sedi dislocate in tutto il mondo, Reporter senza frontiere pubblica una sorta di classifica della libertà di stampa in cui vengono presentati il numero di giornalisti uccisi e il Paese in cui è accaduto. Nella classifica del 2019 l’Italia è rimasta stabile rispetto agli anni precedenti e questo  non è un bene: ci attestiamo infatti al quarantatreesimo posto. La posizione non lusinghiera dello scorso anno viene motivata citando la proposta dell’ex ministro dell’Interno di togliere la scorta a Roberto Saviano, dagli attacchi degli esponenti del movimento che insieme al partito del suddetto ex ministro componeva il governo di coalizione alla categoria dei giornalisti e dalle continue minacce nei confronti di alcuni professionisti, soprattutto nel Sud Italia: casi come quello di Paolo Borrometi, giornalista siciliano, collaboratore di Agi e fondatore de La Spia, che vive sotto scorta dal 2013.

Paolo Palladino

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