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Le contraddizioni del compiacere

“Camminando tra le vie fatte di massi, cominciò a pensare come una persona che sente l’altro ma che non comprende ancora chi è veramente, agisce noncurante di sé. Come il sole settembrino, effettivamente opaco, nasconde la luce dietro delle nubi informi che ovattano la chiarezza dell’atmosfera e trasformano un pomeriggio in notte. Basa la sua quotidianità nel  voler esibire il proprio io spettacolare soddisfacendo l’incontrollato fervore di apparire la  protagonista del palcoscenico, di creare consensi nelle risate del pubblico. E se questa  audience un giorno non esistesse più? Che sarà della sua caricatura? Quando chiederà a se stessa: “Sei felice?” Chi risponderà? La verità è che esistono troppe realtà dentro ciascun  individuo da non volerle toccare, nemmeno sfiorare, perché la solitudine a fin di bene fa paura. Nel secolo in cui viviamo l’ansia di non essere accompagnati, di non potersi  pavoneggiare costantemente su ciò che si ha, terrorizza tutti in ugual modo, perché ora la  condivisione riempie tutto. I poeti solitari, quelli senza timore di camminare lontani dalla  propria ombra non esistono più. Julienne, invece è una di quella cerchia di persone che pensa  in alto, al di là dell’altro. 

In realtà, a essere sinceri, la colpa del suo essere pigra, affossata in una voglia di esplodere e  crescere che non avanza mai, non sta nella società, bensì nel sentirsi in dovere di partecipare  agli interessi di questa agglomerazione. Sentirsi appagati nel dare piacere al prossimo può essere soddisfacente quanto può tramutarsi in dipendenza; a dire il vero la definirei più una  voglia di esplorare. Imparare dai libri quanto dalle persone. La nostra protagonista sui volti  altrui dipinge mondi emergenti che colmano la sua sete di sapere. Infatti conosce le loro storie meglio della propria. Ama le folle, ama ascoltare piccoli e grandi esseri umani; orgogliosamente nasconde insicurezze e ansie come un’amante soffoca un amore non ancora  in fiore, che ha il terrore di far germogliare, facendosi divorare da un perpetuo peso nello  stomaco. Cos’è più ipocrita? Raccontare storie mai portate a termine o compiere imprese  senza termini? Inietta nell’aria ambizioni mai compiute, sentendosi piena di idee nuove e  profonde, ma che rimangono sempre idee .  

Uno dei segreti per poter essere in armonia con se stessi è conoscere prima di tutto la serenità  individuale, essenzialmente non sulla bocca di gente sconosciuta, ma su di sé, sulla propria  intelligenza e capacità. Difatti un qualcosa di scritto solamente per compiacere un eventuale  lettore , consiste in una sfumatura di pensiero: costruito, irreale e già morto di partenza. E se a causa di questo bisogno incontrollato costante di far sapere tutto a tutti istantaneamente  ogni singolo diventasse incapace di sentire ciò che prova? Se questo nascondersi dietro un finto sapere immediato, per cui nessuno conosce più nulla di concreto e in cui tutti parlano con il proprio palmare fosse il risultato di una forte insicurezza ,velata dall’egocentrismo? In sostanza, l’umanità dovrebbe ritrovare in qualche modo la materia prima che la definisce. Ma la nostra Julienne non ha bisogno di evadere, al contrario possiede tutto il necessario dinnanzi, come una presenza costante ma tuttora impalpabile alla sua vista, ferma lì, inesplorata. È tempo di accettare la condizione inerme del reale e farne un moto in salita , intagliando su carta grezza le parole della coscienza. Per capirsi, per capire, per farsi capire.”

Teresa Oliveira Lo Greco

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L’esigenza della scrittura

“Scrivo perché non ero dotato per il commercio, non ero dotato per lo sport, non ero dotato per tante altre, ero un poco…, per usare una frase famosa [di Sartre], l’idiota della famiglia… In genere chi scrive è uno che, tra le tante cose che tenta di fare, vede che stare a tavolino e buttar fuori della roba che esce dalla sua testa e dalla sua penna è un modo per realizzarsi e per comunicare.”

Così risponde Italo Calvino ad una delle tante domande a tema sul “perché scrivi?”, che personalmente da amici, ammiratori e giornalisti gli sono state poste nel tempo della sua vita.

Eppure, in questa dichiarazione in cui traspare un’idea di scrittura come ultimo salvagente per gli incapaci, si innalza, nella descrizione del mestiere dello scrittore, a toni bassi e quasi comici, un moto d’orgoglio accompagnato da un istinto indomabile e implacabile. Continua a leggere

Io e la Disillusione

Disillusione. Dis-illusione. Se la definissi come eliminazione dell’illusione, allora indicherei un processo: non uno stato e nemmeno un momento o una fase. Un processo teso a sgretolare la condizione iniziale di illusione sino a pervenire all’opposta condizione di dis-illusione. Concependo secondo questa impostazione il concetto di disillusione, non si può evitare di attribuire al medesimo una colorazione semantica dall’accezione positiva. Nell’istante in cui si immagina la disillusione come un processo direzionato alla condizione di dis-illusione, infatti, si sottintende – e a questo implicito pensiero, forse, tende quell’illuministico modus cogitandi acquisito e stipato nell’inconscio dell’individuo occidentale – la negatività dell’illusione, il suo non essere cosa da scegliere, ma cosa di cui liberarsi, cosa da abbandonare, ingenua infanzia oltre la quale procedere. In questo senso, allora, si comprende perché il concetto di disillusione sia così rilevante e relativo al concetto di verità: un solco ben definito del pensiero occidentale ha ampiamente contribuito a proporre, benché in contesti diversi e attraverso discorsi eterogenei, la disillusione come meta verso la quale orientare i propri sforzi: liberarsi da qualsiasi sclerosi del pensiero, spezzare qualsiasi gabbia, muoversi con slancio pressoché atletico in direzione della verità – indipendentemente dal fatto che la verità debba essere intesa o come un confortante lido al quale approdare o come un mero criterio orientativo, cioè una sorta di evanescente carburante del logos. Continua a leggere