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A Foras Sa Nato: Occupazione militare in Sardegna

Il problema dell’occupazione militare della Sardegna è un tema di cui al di fuori dall’isola e da certi ambienti di militanza politica non si sente parlare mai. Si capisce che se neppure in Sardegna il popolo sardo è unito in una posizione contraria all’utilizzo della Sardegna come terreno in vendita al migliore offerente, figuriamoci che solidarietà si può ricevere dal di fuori dell’isola. Tanto più che, ad eccezione di alcuni momenti di grande emotività in cui tutti si sentono vicini ai soprusi che il potere esercita su popoli o gruppi minoritari, il problema dell’occupazione della Sardegna è considerato un problema dei sardi. Che manco sono una categoria particolarmente facile con cui entrare in empatia.

Eppure, il caso delle servitù militari in Sardegna è un caso di studio che getta luce su, a mio avviso, il più grande tradimento del potere politico italiano nei confronti, non solo dei sardi, ma di tutti i cittadini: l’ingiustizia intergenerazionale. Non esiste nessuna frase più azzeccata per descrivere il nostro tempo e il futuro delle nostre generazioni di “ci hanno rubato il futuro”. E spieghiamo perché.

Cosa si intende per occupazione militare in Sardegna?

Si intende un utilizzo di ampie porzioni delle coste italiane per la costruzione di basi militari NATO prevalentemente stagionali ma alcune permanenti, tra cui le due basi più grandi d’Europa. Si intende la politica per cui su un’isola che ospita il 2% della popolazione italiana si trovano il 66% (16 basi in tutto) di tutte le basi militari in Italia, mentre il restante 34% è ripartita nelle altre regioni italiane. Si intende il fatto che mai i sardi sono stati chiamati a votare o pronunciarsi in merito ad una decisione presa più di settant’anni fa, quella di permettere a USA e NATO di utilizzare l’isola come campo di esperimenti ed esercitazioni di guerra, che avrebbe inciso sull’economia e sullo sviluppo dell’isola in maniera fondamentale.

In che modo l’occupazione militare impatta la Sardegna?

Da un punto di vista del ruolo che la Sardegna ricopre il Mediterraneo, l’isola è diventata luogo dove la macchina infernale della guerra trova il suo paradiso. In Sardegna si producono (ma solo sotto i nomi di multinazionali che nulla hanno a che fare con ricchezza del territorio) ordigni di guerra, si produce know-bellico, si portano avanti esercitazioni e si fanno passare bombe e armi destinate alle atrocità commesse in Oman e Yemen, Palestina e Siria. Praticamente non solo contribuiamo ma siamo in prima fila nelle operazioni di destabilizzazione del Mediterraneo e del Medio Oriente, ovvero del nostro territorio e di quelli circostanti le cui problematiche arrivano a bussare alle nostre porte. Da un punto vista geopolitico, certamente l’Italia o gli Stati Uniti non hanno particolari interessi a vedere la Sardegna svolgere il ruolo che nella storia ha sempre svolto, quello di punto di riferimento di un mondo mediterraneo che ha sempre navigato, commerciato e vissuto insieme, in guerra e in pace. La storia ci ha diviso, ha portato la Sardegna dall’altra parte e ora la Sardegna è utilizzata come avamposto e pendice dell’impero, deprivandola del ruolo e delle opportunità connesse che la Sardegna ha per natura come isola al centro del Mediterraneo. Anziché zona di scambio e incontro per la pace, avamposto di guerra.

Ma l’occupazione militare non provoca solo delle conseguenze indirette legate a quello che potrebbe essere. Anzi, le conseguenze dirette sono estremamente importanti ed evidenti e sono legate alla sostenibilità ambientale, sanitaria ed economica.

Per una più approfondita conoscenza di dati e ricerche sul questi argomenti, rimando al primo dossier prodotto da un gruppo di lavoro di A Foras, l’assemblea che tiene assieme e coordina le centinaia di associazioni, comitati, collettivi e cittadini che si battono per mettere fine all’occupazione e che riporto tra le fonti. Questo gruppo, nato nel 2016 durante un biennio di intensa attività di questa rete, durante le quali le repressioni e contromisure sono state messe in atto contro questo movimento, è un work in progress ma evidenzia attraverso dati e prove qualitative la nefandezza e la bugia che viene raccontata sul fatto che le servitù militari portino vantaggi ai sardi.

I dati mostrano chiaramente come le zone interessate dalle servitù mostrano come le attività produttive delle zone occupate siano nettamente inferiori a quelle di Paesi con caratteristiche simili ma lontano dalle servitù e così i PIL pro capite e la ricchezza complessiva. La monocoltura economica provoca impoverimento e da questo deriva lo spopolamento che sta caratterizzando questi luoghi, in controtendenza al resto delle coste della Sardegna che rimangono generalmente in pari grazie ai flussi dall’interno della Sardegna. Dall’inizio degli anni 2000, emergono sempre più prove alle denunce alzate dai cittadini rispetto a incidenze anomali di malattie e morti nei territori interessati dalle servitù. Si aprono indagini e un processo contro alcuni generali di Quirra (processo che subisce poi un arresto per una questione di legittimità costituzionale) contro le quali è difficile negare la realtà: se pur i dati non sono completi, è stata rilevato l’utilizzo e la presenza di materiali nocivi, il non utilizzo delle norme di sicurezza sul lavoro e nel trasporto, l’omissione a chi di competenza della presenza di tali materiali associate sia a malattie e morte che alla contaminazione dei territori. E questo ci riporta ai danni economici di queste servitù.

A leggerla così, sembrerebbe assurdo sapere che esistono degli stessi sardi che non prendono posizione netta contro questa gravissima ingiustizia. Ma il problema è che il potere è sempre furbo e la Sardegna si trova in balia di un ricatto che in parte è una bugia e in parte non lo è.

Se le basi venissero smantellate, dei posti di lavoro verrebbero persi. Laddove, in piccole porzioni, è avvenuto, spesso i territori sono in stato di abbandono. Siamo sicuri che convenga smantellare? Molti sardi dicono no, sarebbe controproducente. Ed effettivamente alcuni posti di lavoro si perderebbero ed è tempo di finire di sottovalutare l’importanza del lavoro.

A meno che non entri in gioco uno sforzo coordinato. Non è che in assoluto, i posti persi con lo smantellamento delle basi rappresentino un problema. Ma ogni trasformazione deve essere gestita e la Sardegna ha bisogno di un piano di utilizzo e di sviluppo di questi territori. E’ chiaro che bisogna smantellare e bonificare, il che da solo creerebbe lavoro sino a 50 anni per alcune stime; ma è necessario fare di più e organizzare uno sforzo congiunto di istituzioni, intellettuali, lavoratori ed imprenditori per costruire un piano coerente che restituisca ma renda anche produttive quelle terre di cui in Sardegna si va tanto fieri.

E questo discorso se estratto dal contesto dell’occupazione militare in Sardegna è lo stesso che vale per il complesso dell’Ilva o delle trivelle in Puglia per esempio. Ecco perché questo discorso non dovrebbe interessare solo i sardi. Il successo di un’operazione di smantellamento e ricostruzione potrebbe diventare un esempio per tanti territori che subiscono i ricatti occupazionali dello Stato e di altri al prezzo della propria salute. E in generale, dimostrerebbe come le trasformazioni, le riconversioni e i capovolgimenti socio- economici siano possibili. Sicuramente sono l’unica speranza per ristabilire quella giustizia intergenerazionale e “restituirci un futuro”.

Francesca Di Biase


Fonti

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Sardex – che cosa è il denaro?

Il 10 aprile 2010, esattamente nove anni fa, in Sardegna avviene la prima transazione in Sardex, una nuova moneta complementare all’Euro. Questa transazione inaugura la nascita di un modello di valuta complementare locale di successo, dimostrato dagli studi di vari esperti, come quello portato avanti da tre professori per la London School of Economics – Paolo Dini, Wallis Motta, Laura Sartori -. E confermato dal fatto che molte altre regioni italiane hanno iniziato un percorso di creazione di una propria valuta complementare sotto la guida e l’accompagnamento dei fondatori di Sardex.

Seppure ogni sistema di valuta complementare riporta le proprie specificità, altre città e comunità in Europa e Nord America stanno percorrendo percorsi simili e ugualmente virtuosi, tanto che diventa interessante provare ad esplorare attraverso il caso Sardex cosa siano queste valute complementari e perché rappresentino un modello in espansione.

Cosa rende un esperimento di moneta complementare così interessante?

Il modello Sardex rappresenta una risposta di una comunità ai danni che una regione debole subisce nel contesto di un’economia capitalista globalizzata. Creando un circuito di moneta parallela a quella tradizionale, permette l’accesso al denaro, ai prestiti, alla liquidità e al consumo ad una popolazione che ha sempre e profondamente subito le logiche di accentramento della ricchezza, dello sfruttamento della sua terra e dell’impoverimento perverso che ne deriva.

Ma per capire meglio che soluzione la moneta Sardex e modelli simili propongano bisogna fare un po’ di chiarezza su cosa sia e come funzioni la moneta tradizionale. Per quanto possa sembrare banale, la prima domanda da porsi è: che cosa è il denaro?

Probabilmente, la prima definizione che ti è venuta in mente, lettore, è che il denaro è la moneta o la banconota che tieni nel portafoglio. E questo è vero. Se hai qualche conoscenza di economia saprai persino che il denaro è contemporaneamente un mezzo di scambio, uno strumento di conto, debito e riserva di valore. Essenzialmente, è una convenzione introdotta con l’aumentare del volume e della complessità degli scambi, un oggetto di per sé senza valore a cui se ne attribuisce uno, ampliando le opportunità limitanti del baratto, definendo il valore di un bene in una maniera unica per tutti, e trasferendo valore nel tempo.

Ma la verità è che il denaro può essere definito in moltissimi modi diversi a seconda della lente che si decide di adottare. In Sardegna, si è deciso di privilegiare una definizione di imprenditoria sociale del denaro, che combina logiche di economia con logiche di azione e responsabilità sociale.

Come funziona il Sardex?

Il modello Sardex funziona secondo la logica di un circuito a cui imprenditori, aziende, esercizi commerciali e terzo settore aderiscono in una logica di economia circolare. A tutti i soci del circuito vengono attributi al momento dell’inizio del processo una certa somma di Sardex sulla base di alcuni criteri economici di valutazione. Una volta entrati nel circuito però gli attori possono acquistare prodotti e servizi utilizzando i Sardex come mezzo di scambio ma anche restituendo il debito contratto attraverso i propri beni e servizi.

La conditio sine qua non per cui questo sistema funziona è che non esistono i tassi di interesse. Abbiamo accennato al fatto che la moneta è definibile anche come debito perché nel momento dell’acquisto di un bene, viene maturato un debito nei confronti del venditore che viene restituito proprio sotto forma di denaro. L’assenza di tassi di interesse significa due cose: in primis, ogni volta che un’azienda acquista qualcosa il debito d’acquisto resterà stabile; in secundis, non esiste incentivo al deposito di denaro in banca perché questo non genera interessi, aumentando la velocità della circolazione della moneta e incentivando quindi il consumo in un’economia debole e poco propensa al consumo come quella sarda.

La moneta Sardex viene utilizzata come denaro per spese personali o familiari, ma non viene riconosciuta per il pagamento di tasse o immobili, né per trasferire valore o mettere da parte risparmi come quelli per la pensione. È una moneta di utilizzo di breve e medio termine legata proprio al concetto di consumo quotidiano.

Qual è il valore specifico di Sardex?

Un modello come quello di Sardex, pur non rompendo completamente con il nostro modello economico, si sottrae e rompe alcune regole fondamentali delle logiche di mercato e in particolare, Sardex:

  • fa crollare uno di quei capisaldi del modello capitalista: le banche. In un’economia capitalista (ma in realtà anche in quella sovietica o cinese) esiste un modello verticistico di creazione del denaro volto a creare un vero e proprio monopolio della valuta. La Banca centrale stampa moneta secondo le direttive della politica monetaria in vigore in percentuali variabili tra Paesi ma comunque minoritarie rispetto al totale del denaro creato. La maggior parte del denaro deriva invece dal debito che i cittadini producono nei confronti delle banche. Eliminando le banche dall’equazione, in un modello come quello di Sardex chiunque può creare denaro attraverso l’erogazione di beni e servizi secondo un modello di economia circolare. Per quanto non tutto ciò che riguarda le banche può dirsi negativo, è indiscutibile che la finanza sia l’aspetto più instabile e più pericoloso della nostra economia, quello responsabile di 208 crisi monetarie dal 1970 ad oggi, tra cui la grande crisi del 2008.
  • introduce elementi di identità e di responsabilità sociale: scegliere Sardex significa entrare a far parte di una rete locale, di una comunità di persone attive, portando enormi benefici tanto sul piano sociale quanto sul piano economico. Scegliere Sardex significa alimentare e sostenere l’economia locale poiché tutte le imprese che ne fanno parte sono imprese sarde che per tantissimo tempo sono state penalizzate dalle logiche della globalizzazione e da quelle del mercato. In altre parole, emerge la valuta come elemento di identità e di omaggio alla propria casa. Il denaro acquisisce così un carico emotivo positivo. I soldi sono quasi sempre motivo di imbarazzo, di disagio, o di ansia mentre è stato rilevato che l’utilizzo del Sardex sia motore di sentimenti di orgoglio, di appartenenza, di gratitudine, riportando ad una dimensione umana un oggetto che ha profondamente a che fare con la nostra umanità ma che ne è completamente privo. Questo ha delle conseguenze sul modo in cui le persone spendono e in questo senso diventa un passaggio fondamentale nell’educazione del cittadino ad una partecipazione attiva e critica alla vita di comunità, mettendo in moto quel processo di scelta consapevole a cui chiunque abbia a cuore il concetto di democrazia dovrebbe guardare.

I vantaggi delle monete complementari sono molto più di quelli elencabili in un articolo. Le monete complementari creano una scorta di denaro per la comunità in momenti di crisi, aiutano a limitare le attività delle multinazionali aumentando esponenzialmente l’occupazione e il reddito della comunità (per ogni moneta locale spesa, reddito e occupazione aumentano da due a quattro volte), e accorciando la catena di fornitura riducono l’impatto ambientale della produzione.

Vi suonano nuovi concetti come comunità, impatto ambientale, economia locale, democrazia? Probabilmente no perché sempre più spesso queste parole vengono usate per descrivere l’unica via percorribile perché la nostra società impari dai propri errori e riesca a costruire una versione migliore di sé stessa in grado di sopravvivere ai cambiamenti che stiamo vivendo. E l’adozione di una valuta complementare è un’azione concreta che contribuisce all’implementazione di un modello di sviluppo sostenibile.

L’economista Bernard Lietaer, colui che ha implementato in Belgio il sistema di convergenza ECU, precursore dell’Euro, parla del monopolio monetario come di una monocoltura e paragona il nostro modello di economia a un ecosistema ambientale. La monocoltura uccide, la diversità rende prospero. Il Sardex, così come molti altri sistemi di monete complementari non hanno come obiettivo la sostituzione totale e la distruzione delle monete tradizionali.

Le monete tradizionali servono per tramandare il valore, per facilitare il movimento delle persone, per creare un certo tipo di ricchezza. Ma svantaggiano le economie e le classi sociali più deboli e in momenti di crisi provocano pericolosissimi effetti domino. Le monete complementari come il Sardex, invece, assicurano una certa stabilità e resilienza tanto desiderate da tutti coloro che subiscono i contraccolpi della globalizzazione e del capitalismo. In una maniera molto più onesta rispetto alle varie teorie sovraniste che vorrebbero semplicemente cancellare il passato e tornare indietro. Sardex propone una soluzione per andare avanti.

Francesca Di Biase


Fonti:

L’occasione sprecata del latte versato in Sardegna

“La dignità non ha prezzo”. Questo è uno degli slogan che ha definito i contorni della protesta che i pastori sardi stanno portando avanti in Sardegna mobilitandosi per chiedere allo Stato di intervenire nella crisi del latte che ha messo in ginocchio intere famiglie sarde. Una protesta che si è caricata di emotività e che aveva il potenziale di essere un vero motore di cambiamento ma che purtroppo non è riuscita a fare il salto di qualità.
Ricostruiamo il contesto. Continua a leggere