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Oltre la bandiera del buonismo

Ogni tanto apro un giornale (rigorosamente online perché tanto sono una millennial) o guardo un tg in cerca di qualche traccia di una sinistra che si incontra per discutere della propria identità e del proprio linguaggio in maniera onesta e critica. Puntualmente vengo delusa da notizie che raccontano di dichiarazioni sulla necessità di fare, cambiare, resistere a cui segue il nulla o di risposte ad attacchi dalle destre che nella maggior parte dei casi fanno semplicemente il loro gioco.

Considerato che di élite in grado di mettere le mani sul ripensamento dei modelli e dei paradigmi della sinistra non sembra vedersene all’orizzonte, sento la necessità per ii tanti disillusi come noi di farlo in maniera sempre più seria.

Così ho deciso che era il momento di mettere mano su un’etichetta che è diventata una delle maggiori bandiere della nostra sinistra e su cui un po’ di analisi lontana da banalizzazioni e semplificazioni mi sembra per questo particolarmente rilevante: il buonismo.

Il motivo non è perché voglia difendere o attaccare i buonisti, tra i quali mi sono tra l’altro riconosciuta a fasi alterne in un dibattito politico sempre estremamente dialettico, che tende a lasciare spazio solo per gli aut aut. Tanto più che da quando le destre sono al potere, sentono sempre meno la necessità di attaccare e manipolare una sinistra che tende già al suicidio e agli autogol definendola in tal senso.

Il motivo è legato al bisogno profondo di analizzare e ridefinire il contenuto e il linguaggio della sinistra, se non per motivi di affinità ideologica, quanto meno come modo per difendere la sostanza della democrazia che necessita di forze plurali per poter rimanere tale.

Esiste un legame imprescindibile tra pensiero-linguaggio-azione. Nell’essere umano ognuno di questi concetti plasma l’altro e questo potere creatore non dovrebbe mai essere sottovalutato.

L’utilizzo del termine buonista deriva in parte dall’esistenza di azioni “buoniste” ma ha anche avuto l’effetto di generare parole e atteggiamenti cosiddetti buonisti, portando la sinistra ad approcciarsi all’altro paternalisticamente e pietisticamente, e aumentando così la distanza tra base ed élite.

Nel dizionario Treccani il buonismo viene definito come:

buonismo s. m. [der. di buono]. – Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversari, o nei riguardi di un avversario, spec. da parte di un uomo politico; è termine di recente introduzione ma di larga diffusione nel linguaggio giornalistico, per lo più con riferimento a determinati personaggi della vita politica.

La reazione di molta sinistra italiana è stata quella di accettare un’etichetta che, a mio parere, non avrebbe mai dovuto essere accettata nel contesto del nostro dibattito politico ma che lo è stata nella circostanza di una crisi di identità che ha portato la sinistra a definirsi sempre di più in alternativa alle destre pur andando a somigliargli ogni giorno un po’ di più.

La parola buonismo compare per la prima volta nel 1995 ma trova la sua radice etimologica nel concetto di pietas, che nel significato classico così come in quello religioso, si riferisce al rispetto dei valori tradizionali in quanto giusti e sacri. Soprattutto nella concezione cristiana, il termine pietas, e di conseguenza il termine buonismo, hanno a che fare con la dimensione sociale dell’uomo e dell’incontro con l’altro ma riporta il sistema valoriale della sinistra ad una dimensione di altruismo.

Se pur l’altruismo rimane un concetto sacrosanto che può portare a grandi azioni e sacrifici, la politica e la società non possono fondarsi sull’esistenza di tante Giovanne d’Arco. Non si crede nell’eguaglianza, nella solidarietà e nella collaborazione perché si è buoni ma perché si è consapevoli dell’enormità dei limiti dell’essere umano, la quale trova nell’unione una strategia di sopravvivenza iscritta nei geni e nell’istinto dell’uomo.

Il sociologo Richard Sennet ha analizzato il rapporto con l’altro in termini di competitività e collaborazione, descrivendo il comportamento umano legato all’incontro e allo scambio come un continuum divisibile in cinque segmenti: scambio altruistico, scambio simmetrico, scambio differenziante, scambio a somma zero, scambio “asso piglia tutto”.

Per scambio altruistico si intende quello scambio che ha a che fare con il dono e che deriva da un colloquio con il sé interiore, il quale gioca il ruolo di giudice. Lo scambio altruistico tipico dell’essere umano è la manifestazione di un’interiorizzazione di principi che diventano più importanti della propria personale sopravvivenza. L’esempio di una madre che si sacrifica per difendere la vita dei suoi cuccioli descrive questo tipo di scambio.

Parlando di scambio simmetrico, invece, ci si riferisce al modello del win-win game, dove le parti si incontrano e, attraverso il comportamento programmato e la mediazione ambigua favorita dall’informalità, arrivano a negoziare una soluzione che impegna tutti e contemporaneamente permette a tutti di portarsi a casa qualcosa. In natura, la costruzione del nido in gruppo è un esempio di questo scambio, da cui tutti coloro che partecipano guadagnano.

In mezzo al continuum troviamo lo scambio differenziale, il cui principale strumento è la conversazione dialogica, basata sul principio che ognuno ha qualcosa di diverso da offrire all’altro. L’esperienza diretta distingue questo scambio da quelli precedenti trasformando i punti di vista e favorendo la flessibilità. La definizione dei confini tra diverse specie animali descrive questo tipo di scambio, soprattutto perché in natura i confini cambiano costantemente a seconda delle esigenze.

Lo scambio a somma zero, poi, descrive la situazione in cui uno vince e l’altro perde. È un tipo di comportamento programmato che stabilisce le regole dello scambio e che prevede di non assorbire completamente le risorse dell’altro per poter ripetere il gioco competitivo in momenti successivi. La caccia (che non stermina mai l’intera popolazione delle vittime) ne è un esempio.

Infine, lo scambio “asso piglia tutto” presuppone lo scontro e la distruzione totale dell’altro, come nel caso dei genocidi o delle guerre totali. In natura, solo gli animali ai vertici della catena alimentare possono permettersi di adottare questo tipo di scambio, così come nelle società umane, soltanto pochissimi detengono un potere e una forza tali da potersi sentire al sicuro mettendo in atto questo tipo di pratiche.

Tornando al concetto di buonismo, quando i politici di sinistra hanno iniziato ad accettare di essere semplicemente buonisti e di contrapporsi al “muso duro” delle destre, hanno cominciato a leggere e raccontare la realtà come uno scambio altruistico, elevandolo a unica forma di incontro possibile e meritevole.

Ma la realtà dei sistemi delle società umane è molto più complessa di così e presuppone incontri di tutti i tipi. Il momento delle elezioni politiche, per esempio, che rappresenta uno dei momenti più importanti nel concetto di democrazia rappresentativa (almeno formalmente), è uno scambio a somma zero.

In più, gli incontri più interessanti e di maggior equilibrio sono proprio quelli che si trovano a metà del continuum collaborazione-competitività. Chiunque abbia esperienze di lavoro sa bene che un ambiente sano è quello dove ogni lavoratore è spinto dalla competitività a fare del proprio meglio per raggiungere assieme un obbiettivo comune. Ma questo tipo di etica deve essere perennemente sostenuta perché quello tra competitività e collaborazione è un equilibrio sempre molto fragile.

Ecco perché è necessaria molta cautela quando si descrive la realtà utilizzando questa o quella griglia di lettura.

Le retoriche sull’integrazione che da una parte vedono una parte della società approcciarsi all’incontro con lo straniero come uno scambio “asso piglia tutto”, e un’altra come se l’accoglienza fosse uno scambio altruistico dei buoni verso dei “poveracci”, perdono di vista la complessità di questi incontri. Questa semplificazione non permette alla contaminazione di fluire e a nuovi scenari di essere generati attraverso lo scambio dialogico.

Definirsi apertamente e continuamente “buonisti” appiattisce questa complessità e lascia un sapore di ambiguità in bocca rispetto all’intenzione dell’interlocutore perché gli esseri umani possiedono la consapevolezza intuitiva sul fatto che nessun sistema è sostenibile soltanto sulla base del dono e dell’altruismo.

L’altra faccia della medaglia è che nessun sistema è sostenibile neppure in un’ottica hobbesiana, specialmente in situazioni di “coperta corta”, quando l’essere umano attraversa momenti di profondi cambiamenti e instabilità.

Per questo motivo, quello che la politica, e in particolare la sinistra per ruolo ideologico e storico, dovrebbe fare è spingere la convivenza verso il centro del continuum ed impegnarsi in un lavoro di analisi di ogni situazione e di riconoscimento dei vari equilibri.

Allora sì che si potrà cominciare a definirsi buonisti quando questo sarà il caso dello scambio. E non solo a definirsi ma anche ad agire da buonisti. Altrimenti rimarrà soltanto una parola vuota e un’azione di sacrifico a cui la retorica delle destre potrà sempre e facilmente contrapporre la propria retorica e azione di somma zero.

Francesca di Biase

Fonti:

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Sardex – che cosa è il denaro?

Il 10 aprile 2010, esattamente nove anni fa, in Sardegna avviene la prima transazione in Sardex, una nuova moneta complementare all’Euro. Questa transazione inaugura la nascita di un modello di valuta complementare locale di successo, dimostrato dagli studi di vari esperti, come quello portato avanti da tre professori per la London School of Economics – Paolo Dini, Wallis Motta, Laura Sartori -. E confermato dal fatto che molte altre regioni italiane hanno iniziato un percorso di creazione di una propria valuta complementare sotto la guida e l’accompagnamento dei fondatori di Sardex.

Seppure ogni sistema di valuta complementare riporta le proprie specificità, altre città e comunità in Europa e Nord America stanno percorrendo percorsi simili e ugualmente virtuosi, tanto che diventa interessante provare ad esplorare attraverso il caso Sardex cosa siano queste valute complementari e perché rappresentino un modello in espansione.

Cosa rende un esperimento di moneta complementare così interessante?

Il modello Sardex rappresenta una risposta di una comunità ai danni che una regione debole subisce nel contesto di un’economia capitalista globalizzata. Creando un circuito di moneta parallela a quella tradizionale, permette l’accesso al denaro, ai prestiti, alla liquidità e al consumo ad una popolazione che ha sempre e profondamente subito le logiche di accentramento della ricchezza, dello sfruttamento della sua terra e dell’impoverimento perverso che ne deriva.

Ma per capire meglio che soluzione la moneta Sardex e modelli simili propongano bisogna fare un po’ di chiarezza su cosa sia e come funzioni la moneta tradizionale. Per quanto possa sembrare banale, la prima domanda da porsi è: che cosa è il denaro?

Probabilmente, la prima definizione che ti è venuta in mente, lettore, è che il denaro è la moneta o la banconota che tieni nel portafoglio. E questo è vero. Se hai qualche conoscenza di economia saprai persino che il denaro è contemporaneamente un mezzo di scambio, uno strumento di conto, debito e riserva di valore. Essenzialmente, è una convenzione introdotta con l’aumentare del volume e della complessità degli scambi, un oggetto di per sé senza valore a cui se ne attribuisce uno, ampliando le opportunità limitanti del baratto, definendo il valore di un bene in una maniera unica per tutti, e trasferendo valore nel tempo.

Ma la verità è che il denaro può essere definito in moltissimi modi diversi a seconda della lente che si decide di adottare. In Sardegna, si è deciso di privilegiare una definizione di imprenditoria sociale del denaro, che combina logiche di economia con logiche di azione e responsabilità sociale.

Come funziona il Sardex?

Il modello Sardex funziona secondo la logica di un circuito a cui imprenditori, aziende, esercizi commerciali e terzo settore aderiscono in una logica di economia circolare. A tutti i soci del circuito vengono attributi al momento dell’inizio del processo una certa somma di Sardex sulla base di alcuni criteri economici di valutazione. Una volta entrati nel circuito però gli attori possono acquistare prodotti e servizi utilizzando i Sardex come mezzo di scambio ma anche restituendo il debito contratto attraverso i propri beni e servizi.

La conditio sine qua non per cui questo sistema funziona è che non esistono i tassi di interesse. Abbiamo accennato al fatto che la moneta è definibile anche come debito perché nel momento dell’acquisto di un bene, viene maturato un debito nei confronti del venditore che viene restituito proprio sotto forma di denaro. L’assenza di tassi di interesse significa due cose: in primis, ogni volta che un’azienda acquista qualcosa il debito d’acquisto resterà stabile; in secundis, non esiste incentivo al deposito di denaro in banca perché questo non genera interessi, aumentando la velocità della circolazione della moneta e incentivando quindi il consumo in un’economia debole e poco propensa al consumo come quella sarda.

La moneta Sardex viene utilizzata come denaro per spese personali o familiari, ma non viene riconosciuta per il pagamento di tasse o immobili, né per trasferire valore o mettere da parte risparmi come quelli per la pensione. È una moneta di utilizzo di breve e medio termine legata proprio al concetto di consumo quotidiano.

Qual è il valore specifico di Sardex?

Un modello come quello di Sardex, pur non rompendo completamente con il nostro modello economico, si sottrae e rompe alcune regole fondamentali delle logiche di mercato e in particolare, Sardex:

  • fa crollare uno di quei capisaldi del modello capitalista: le banche. In un’economia capitalista (ma in realtà anche in quella sovietica o cinese) esiste un modello verticistico di creazione del denaro volto a creare un vero e proprio monopolio della valuta. La Banca centrale stampa moneta secondo le direttive della politica monetaria in vigore in percentuali variabili tra Paesi ma comunque minoritarie rispetto al totale del denaro creato. La maggior parte del denaro deriva invece dal debito che i cittadini producono nei confronti delle banche. Eliminando le banche dall’equazione, in un modello come quello di Sardex chiunque può creare denaro attraverso l’erogazione di beni e servizi secondo un modello di economia circolare. Per quanto non tutto ciò che riguarda le banche può dirsi negativo, è indiscutibile che la finanza sia l’aspetto più instabile e più pericoloso della nostra economia, quello responsabile di 208 crisi monetarie dal 1970 ad oggi, tra cui la grande crisi del 2008.
  • introduce elementi di identità e di responsabilità sociale: scegliere Sardex significa entrare a far parte di una rete locale, di una comunità di persone attive, portando enormi benefici tanto sul piano sociale quanto sul piano economico. Scegliere Sardex significa alimentare e sostenere l’economia locale poiché tutte le imprese che ne fanno parte sono imprese sarde che per tantissimo tempo sono state penalizzate dalle logiche della globalizzazione e da quelle del mercato. In altre parole, emerge la valuta come elemento di identità e di omaggio alla propria casa. Il denaro acquisisce così un carico emotivo positivo. I soldi sono quasi sempre motivo di imbarazzo, di disagio, o di ansia mentre è stato rilevato che l’utilizzo del Sardex sia motore di sentimenti di orgoglio, di appartenenza, di gratitudine, riportando ad una dimensione umana un oggetto che ha profondamente a che fare con la nostra umanità ma che ne è completamente privo. Questo ha delle conseguenze sul modo in cui le persone spendono e in questo senso diventa un passaggio fondamentale nell’educazione del cittadino ad una partecipazione attiva e critica alla vita di comunità, mettendo in moto quel processo di scelta consapevole a cui chiunque abbia a cuore il concetto di democrazia dovrebbe guardare.

I vantaggi delle monete complementari sono molto più di quelli elencabili in un articolo. Le monete complementari creano una scorta di denaro per la comunità in momenti di crisi, aiutano a limitare le attività delle multinazionali aumentando esponenzialmente l’occupazione e il reddito della comunità (per ogni moneta locale spesa, reddito e occupazione aumentano da due a quattro volte), e accorciando la catena di fornitura riducono l’impatto ambientale della produzione.

Vi suonano nuovi concetti come comunità, impatto ambientale, economia locale, democrazia? Probabilmente no perché sempre più spesso queste parole vengono usate per descrivere l’unica via percorribile perché la nostra società impari dai propri errori e riesca a costruire una versione migliore di sé stessa in grado di sopravvivere ai cambiamenti che stiamo vivendo. E l’adozione di una valuta complementare è un’azione concreta che contribuisce all’implementazione di un modello di sviluppo sostenibile.

L’economista Bernard Lietaer, colui che ha implementato in Belgio il sistema di convergenza ECU, precursore dell’Euro, parla del monopolio monetario come di una monocoltura e paragona il nostro modello di economia a un ecosistema ambientale. La monocoltura uccide, la diversità rende prospero. Il Sardex, così come molti altri sistemi di monete complementari non hanno come obiettivo la sostituzione totale e la distruzione delle monete tradizionali.

Le monete tradizionali servono per tramandare il valore, per facilitare il movimento delle persone, per creare un certo tipo di ricchezza. Ma svantaggiano le economie e le classi sociali più deboli e in momenti di crisi provocano pericolosissimi effetti domino. Le monete complementari come il Sardex, invece, assicurano una certa stabilità e resilienza tanto desiderate da tutti coloro che subiscono i contraccolpi della globalizzazione e del capitalismo. In una maniera molto più onesta rispetto alle varie teorie sovraniste che vorrebbero semplicemente cancellare il passato e tornare indietro. Sardex propone una soluzione per andare avanti.

Francesca Di Biase


Fonti: