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Slut-shaming: cosa vuol dire essere una donna sessualmente libera in Italia?

In una società come la nostra, fare sesso ti può costare addirittura il lavoro. Se sei donna, ovviamente. Se decidi di prendere in mano la tua sessualità e rompere gli standard sociali, la cultura patriarcale decide di schiacciarti perché diventi una donna scomoda, sfavorevole allo status quo. In una società basata sui doppi standard, questo non succede anche agli uomini. E quello che è avvenuto a un docente dell’Accademia delle belle arti di Urbino ne è l’ennesima conferma. L’uomo, infatti, è stato accidentalmente ripreso mentre faceva sesso durante la DAD, credendo di non essere inquadrato dalla telecamera. L’insegnante, dopo l’avvenimento, ha deciso di dimettersi. In seguito, il direttore dell’Accademia ha dipinto l’uomo come un docente molto stimato dagli studenti, un critico competente nel mondo dell’arte e ha aggiunto che non sarebbe giusto ricordarlo solo per questo avvenimento. L’opinione pubblica si è stretta al fianco del professore. Tutto giusto, se non fosse che alla maestra di Torino vittima di un reato (eh già, il revenge porn è un crimine) è stato riservato il licenziamento con la gogna mediatica in omaggio.

È da millenni che le cose vanno avanti così. Agli albori del patriatcato venne stabilito che, per assicurarsi la certezza della propria paternità, le donne dovessero limitare al massimo i propri rapporti sessuali. E queste limitazioni si sono inasprite con l’avvento del cristianesimo. Non a caso, la Bibbia è intrisa di misoginia, pienza zeppa di versi che ricordano ossessivamente alle donne di tenere le gambe chiuse e di aprirle solo e soltanto per procreare, assolutamente solo dopo il matrimonio (dopo tutto, che donna sei se non ti sposi e non sforni quanti più figli possibili, eh?). In realtà, la Bibbia vieta i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio e non a scopo procreativo anche agli uomini. Inutile dire, però, che gli uomini, essendo al comando della società, trovavano molto più facilmente delle scappatoie a una sessualità così opprimente e repressiva. Nel corso dei secoli, alle donne venne imposto di custodire gelosamente la loro verginità prima del matrimonio. Una donna che aveva rapporti sessuali fuori o prima di sposarsi era inevitabilmente perduta. Oltretutto, il matrimonio era anche l’unico modo, per le donne, di poter vivere nella società. Dunque, la verginità intatta era l’unico bene che possedevano le donne. Questa sorte accomunava sia le donne più benestanti, sia quelle facenti parte di categorie sociali meno abbienti. E da qui sono nati i falsi miti sulla verginità femminile, giunti fino a noi: la donna deve rimanere vergine, perché la verginità è simbolo di purezza e castità. E quest’imposizione ci è stato appioppata per secoli, perché si credeva che una donna fosse più virtuosa se si “preservava”. Tutto questo, mentre gli uomini avevano mille relazioni extraconiugali e fuggivano ogni notte nei bordelli per giacere con quelle donne “perdute” che desideravano ma allo stesso tempo disprezzavano. Per tanto tempo si è creduto che le donne non provassero nessun desiderio sessuale e che non raggiungessero orgasmi: insomma, la sessualità femminile è sempre stata dominata dal patriarcato, progettata ad hoc per soddisfare i bisogni dell’uomo e vissuta passivamente.

I retaggi patriarcali non si decostruiscono in due giorni e infatti oggi, sebbene la situazione sia nettamente migliorata già rispetto al secolo scorso, c’è ancora molto da fare. La sessualità maschile non viene mai stigmatizzata e anzi, viene continuamente incoraggiata. Spesso, all’interno delle cerchie di amici al maschile, il valore di un uomo viene misurato anche in base alla quantità di sesso che fa: più donne per fare sesso “conquista” e più sarà stimato dai suoi pari. E ho parlato di conquista e di donne perché si tratta rigorosamente di relazioni etero in stile uomo predatore – donna preda. Tutto ciò avviene fin dalla giovane età: ragazzini appena adolescenti che si vantano delle loro esperienze sessuali (non) fatte per apparire più interessanti agli occhi degli amici. Un uomo che non rientra all’interno di questi standard sperimenta una buona parte delle pressioni che il patriarcato esercita anche sugli uomini. Per quanto la riguarda la sessualità femminile, vale tutto il contrario: si comincia da giovanissime quando realizziamo che nostro fratello minore può portare liberamente le ragazze a casa e noi invece dobbiamo stare attente a non farci scoprire quando frequentiamo un ragazzo. Poi, quando ancora siamo ancora totalmente inconsapevoli di cosa ci aspetta, i parenti cominciano a dire “ah, a 16 anni la rinchiudi in casa!”. Alle medie ti fidanzi con un ragazzo più grande e via, slut-shaming a non finire dai tuoi compagni. Durante l’adolescenza, subiamo tante di quelle offese legate alla nostra vita sessuale, che dopo un po’ la parola “troia” diventa parte della quotidianità e non suona nemmeno più così offensiva. Ci viene insegnato a distinguere le “sante” dalle “puttane”: le prime sono le donne di serie A, quelle meritevoli di rispetto. Le ultime, secondo i discutibilissimi standard della società, sono le donne sacrificabili, quelle che hanno deciso di non piegarsi al patriarcato, dunque anche coloro che vivono la sessualità attivamente e in modo consapevole. Anche le donne che decidono di mandare un video intimo al proprio fidanzato.

Queste differenze si riflettono sia sulla vicenda del docente di Urbino, sia su quella della maestra d’asilo di Torino. L’uomo ha deciso di dimettersi volontariamente, eppure nessuno gli è andato contro: il direttore stesso lo ha (giustamente) difeso, al contrario della direttrice di Torino che ha immediatamente deciso di licenziare la maestra. La notizia dell’insegnante scoperto a fare sesso in DAD in realtà non ha fatto molto scalpore, non ha indignato nessuno. Nessuno ha mai detto “non posso affidare i miei figli a un uomo che fa sesso”. Mentre per la maestra non è stato così, nonostante lei sia stata vittima di un reato: sono piovute critiche (a lei), slut-shaming, victim blaiming e il licenziamento. Nessuno ha deciso effettivamente di colpevolizzare il suo ex e tutte le persone che hanno continuato a far girare il suo video privato. Quella donna è stata violata prima dal suo compagno, poi da tutte le persone che l’hanno stigmatizzata per aver deciso di vivere la sua vita sessuale come meglio credeva.  Questo succede ancora oggi, perché in realtà una donna non è mai totalmente libera di usufruire del proprio corpo. È come se il nostro corpo non ci appartenesse ma fosse di proprietà della società, che ci impone di usarlo in modo da non risultare scomoda a nessuno. Usare il proprio corpo andando controcorrente significa inevitabilmente andare incontro alla rabbia misogina del patriarcato. Il docentedi Urbino ha deciso autonomamente di dimettersi, ma non ha subito nessuna conseguenza a livello sociale. Al contrario, la maestra di Torino è stata per settimane sulla bocca di tutti, subendo i peggiori insulti dalle stesse persone che minimizzavano il gesto del suo ex a goliardata: sì, lui ha sbagliato, ma lei? Perché le ha mandato quel video? Doveva aspettarselo. Purtroppo slut-shaming e victim blaiming nel 2021 sono ancora all’ordine del giorno, sono esperienze che accomunano tutte le donne e le survivor. Gli stessi media hanno dato molto credito alla vicenda della maestra di Torino, dando voce a tutti i soggetti della vicenda che la colpevolizzavano tranne che a lei, la vera vittima di tutto, e di fatto alimentando un sistema che letteralmente si nutre dell’odio per le donne.

I doppi standard sono una diretta conseguenza del patriarcato, e finché le donne continueranno ad essere discriminate per la loro vita sessuale, la situazione non cambierà. Lo stigma sociale per una donna sessualmente libera è ancora alto, lo abbiamo visto con la maestra di Torino e lo subiamo ogni giorno sulla nostra pelle. È un meccanismo subdolo che discrimina pesantemente le donne, le fa sentire in colpa e sporche, le colpevolizza di provare il più umano dei desideri. La sessualità libera, se praticata in modo consapevole e totalmente consenziente, può essere considerata un atto politico. E ora vi lascio con una riflessione molto cruda: Silvio Berlusconi è diventato Presidente del Consiglio e Donald Trump Presidente degli USA. Entrambi alle loro spalle avevano vari scandali riguardo la loro vita sessuale. Però questo non ha impedito loro di continuare sia l’attività imprenditoriale che quella politica. Ne sono usciti puliti, zero conseguenze sociali, e anzi, lì fuori c’è molta gente che li stima anche perché manifestano la tipica immagine del macho che esprime la sua mascolinità attraverso il sesso. Una maestra a Torino invece ha subito uno slut-shaming pesantissimo e ha perso il suo lavoro per aver mandato un video intimo al suo ragazzo. Credete che se ci fosse stata una donna al posto di Trump o Berlusconi, avrebbe governato ancora a lungo?

Giorgia Brunetti

In copertina: fotografia di Deborah Perrotta, si ringraziano Sara Quercioli e Andrea Macchi per aver prestato i loro volti.

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Giovani movimenti e vecchie maniere

Il cambiamento climatico, la crisi del moderno capitalismo, la crescita dell’estremismo violento e di un diffuso sessismo sono alcune delle questioni che permeano la società contemporanea, a tal punto da spingere le persone – soprattutto giovani – a scendere in piazza e manifestare. Negli ultimi anni abbiamo visto fiorire migliaia di nuovi movimenti in tutto il pianeta, che hanno iniziato a mettere pressione sui governi per portare determinati temi al centro del dibattito politico.

2 giugno 2015, a Buenos Aires e in altre 120 città argentine un grande numero di persone ha manifestato contro la condizione lavorativa e sociale della donna in Sud America. Tutto è partito dall’episodio di Susana Chavez – una poetessa messicana vittima di femminicidio – e dalle dure politiche del presidente Macri, penalizzanti proprio per le donne. La protesta è poi dilagata velocemente in tutta l’America Latina, in Messico, Perù, Cile, Uruguay e in tutto il mondo. Il fenomeno di Ni una Menos è trasversale, ma coinvolge soprattutto giovani determinati a far sentire ovunque le proprie voci.

Agosto 2018, una ragazzina di sedici anni decide di scioperare ogni venerdì non andando a scuola fino alle elezioni in Svezia, mossa dalla preoccupazione per il cambiamento climatico. La sua protesta ha assunto dimensioni globali, coinvolgendo centinaia di paesi e migliaia di città, dando vita al movimento dei Fridays for future culminato nel primo sciopero globale per il clima del 15 marzo, a cui seguirà il secondo il 24 maggio.

Entrambi questi fenomeni si sono sviluppati in maniera sorprendentemente partecipata anche in Italia, un paese che ha visto la sua popolazione più giovane molto attiva negli ultimi anni. La situazione italiana è interessante in due direzioni: una rinnovata necessità di manifestare per influenzare l’agenda politica e le risposte nervose a questi movimenti da parte di politici di segno opposto. L’esempio principale è il comportamento di Matteo Salvini nei confronti dei suoi giovani oppositori. A marzo, il Ministro degli Interni ha pubblicato sui suoi profili social una foto di Viola Pacilli, una ragazza di 22 anni che ha partecipato a una manifestazione con un cartello anti-Salvini. Pubblicare la sua faccia senza un minimo di argomentazione logica (oltre a trovarsi ai limiti della legalità) ha significato esporla alla gogna pubblica da parte dei supporter di Salvini. Un atteggiamento non diverso è stato adottato in altre situazioni, su tutte quello del giovane Ramy, il 13enne che ha chiamato il 112 durante il dirottamento del bus a San Donato Milanese. Salvini, 46 anni, si appella così a un piccolo eroe di 13: “vuole lo ius soli? Potrà farlo quando sarà stato eletto in Parlamento”.

Sfortunatamente questi non sono casi isolati, al contrario, sono una pratica frequente. In Ungheria, per esempio, Blanka Nagy, una studentessa del liceo, è stata subissata di duri insulti da parte di fonti governative, soprattutto la stampa fedele al presidente Orbán. Potremmo elencare centinaia di altri esempi e questo è già un chiaro sintomo del problema.

Questa è una strategia comune agli esponenti di estrema destra e consiste nel trovare un “nemico” contro il quale i proprio sostenitori possono scagliare rabbia e frustrazione. È un concetto politico classico, la dicotomia amico/nemico – che considera le azioni e i motivi politici mossi dalla distinzione in amici e nemici – teorizzata da Carl Schmitt (coincidenza: un importante accademico anche e soprattutto durante il periodo nazista). In ogni caso, con i social network e internet queste tecniche sono diventate molto più invasive e “pubbliche”, con un nuovo potenziale distruttivo: prendete l’Affaire Dreyfus, uno scandalo politico nella Francia del 19esimo secolo, che simboleggia un preludio all’antisemitismo e razzismo che ha condotto alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Ora, provate a immaginarlo oggi, ci sono somiglianze? Migranti visti come una terrificante minaccia, attacchi terroristici trasformati in islamofobia, il cambiamento climatico ridotto a uno scherzo, i poveri quasi non considerati umani, tranne quando possono essere trasformati in voti. Historia magistra vitae diceva Cicerone, risultando più profetico che mai.

Tuttavia, quella che è spesso descritta come una generazione senza valori, politicamente apatica e meno valida delle precedenti, rappresenta invece la reale voce che grida a un cambiamento radicale dell’attuale sistema socioeconomico e politico. Greta Thunberg è soltanto l’ultimo esempio di quanto i “deboli” possono fare, perché le persone che perseguono strategie politiche come quelle sopracitate sono gli stessi che chiamerebbero (e chiamano) Greta una “debole”, non in grado di produrre alcun cambiamento sostanziale. Invece lei – come molti altri – incarna una risposta forte a questo crescente clima d’odio.

Claudio Antonio De Angelis


Sitografia:

Verona patrimonio dell’oscurantismo

“Il Congresso Mondiale delle Famiglie (World Congress of Families, WCF) è un evento pubblico internazionale di grande portata che ha l’obiettivo di unire e far collaborare leader, organizzazioni e famiglie per affermare, celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società.” Così è come si descrivono sul sito https://wcfverona.org/it/. Sullo stesso sito, alla pagina chi siamo, scopriamo i volti del Presidente dell’Organizzazione Internazionale per la Famiglia, il Decano del Consiglio Direttivo del WCF XIII Verona, il presidente dello stesso e il vicepresidente. Quattro maschi e la sensazione di star leggendo un manuale di Storia Moderna, il capitolo “Inquisizione”.

Per chi non avesse chiaro cosa è successo dal 29 al 31 marzo 2019 a Verona, città patrimonio dell’Unesco, qui un breve riassunto di alcuni punti salienti:

– Per avere un quadro più generale della materia trattata, l’agenda ideologica dei gruppi che partecipano e si identificano nel WCF comprende al suo interno: sostegno della “famiglia tradizionale”, opposizione ad aborto, diritti riproduttivi, matrimoni omosessuali, diritti LGBTQI, divorzio, studi di genere e immigrazione (ormai l’immigrazione – che dovrebbe essere uno dei fenomeni più generali e trasversali di qualsiasi società – sembra diventato un mantra svuotato di qualsiasi significato razionale).

– Le parole di Conte: “Il patrocinio è stato concesso dal ministro Lorenzo Fontana, di sua iniziativa, nell’ambito delle sue proprie prerogative, senza il mio personale coinvolgimento né quello collegiale del governo. All’esito di un’approfondita istruttoria e dopo un’attenta valutazione dei molteplici profili coinvolti, ho comunicato al ministro Fontana la opportunità che il riferimento alla Presidenza del Consiglio sia eliminato”. Ebbene sì, ab origine il WCF non solo era patrocinato da Provincia di Verona, Comune di Verona, dalla Regione Veneto e Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, ma anche dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Non finisce qui però: “rimarrà il patrocinio con esclusivo riferimento al ministero della Famiglia e ovviamente ciascun esponente del governo sarà libero di partecipare all’evento, esprimendo le proprie convinzioni sui vari temi che saranno oggetto di discussione.” Poche idee, ma confuse.

– Entriamo nel vivo di questa manifestazione, prima di passare a visionare alcuni degli “illustri” relatori, e scopriamo insieme alcuni dei meravigliosi gadget del congresso: dei feti di plastica. A quanto pare, la rivista di Pro Vita (associazione che, tra le varie cose, vanta legami con Forza Nuova) ha avuto il coraggio di distribuire questo:

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Non solo, infatti la situazione è in realtà ben più macabra: sono stati distribuiti anche portachiavi azzurri con la forma dei piedi dei feti e la scritta “10 settimane” e una spilletta con i piedini – dorati – ma stavolta di 12 settimane. Gli organizzatori del Congresso si difendono così: “Tanto rumore per nulla. Certa stampa non sa a cosa attaccarsi per denigrare il congresso di Verona. Non esiste alcun gadget del Congresso di Verona. La riproduzione di un feto di 11 settimane è un residuo della vecchia campagna che ha reso famosa l’associazione Pro Vita e che comprese anche l’affissione del manifesto grande quanto la facciata di un palazzo. Fu creata per aprire un dibattito sulla vita. E sulla vita ci concentriamo.”

– Tra i relatori possiamo ammirare alcune tra le più importanti figure del progressismo italiano, ladies and gentlemen: Matteo Salvini, ormai sempre più in preda al delirio, è riuscito ad attaccare tutti e nessuno, prendendosela sia con il “business” delle case-famiglia che dichiarando “Secondo me c’è un business organizzato dei manifestanti perché sono sempre gli stessi. Le femministe parlano di diritti delle donne e fanno finta di non vedere quale è il primo reale pericolo per le donne che non è il Congresso ma è l’estremismo islamico per cui la donna vale meno che zero, ed è perpetrato da chi vuole venire qui in Italia”. Non saprei nemmeno dove far finta di vedere un nesso in tutto ciò. Tra gli altri relatori figurano l’inquietante Ministro per la Famiglia e la Disabilità Lorenzo Fontana, l’altrettanto inquietante senatore Simone Pillon, il presidente del Veneto Luca Zaia, Giorgia Meloni reduce dal primo successo discografico “Ollolanda” e dulcis in fundo il Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti. Se volete farvi un’idea su che tipo di persone non frequentare, qui c’è il resto dei relatori: https://wcfverona.org/it/relatori/

Per fortuna, non è oscurantismo tutto ciò che è a Verona. Infatti, un’imponente contromanifestazione ha invaso le strade della città veneta sabato 30 marzo, organizzata da “Non una di meno” e a cui hanno aderito tante realtà, da associazioni a sigle sindacali. Trentamila manifestanti secondo la questura, numeri più alti secondo gli organizzatori. “Io sono contro tutto questo. È medievale, è una cosa inconcepibile nel 2019” ha dichiarato Maria Gandolfini, figlia del leader del Family Day.

Mai si era vista una manifestazione così grande durante lo svolgimento del WCF. È un segnale come tanti la società civile ha provato a dare ultimamente, sostituendosi a un’opposizione istituzionale molto debole. È un segnale importante soprattutto in un paese in cui un partito che lo governa manda i suoi ministri a questo conclave del sessismo più becero e una delle sue sezioni diffonde volantini di questo genere

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Sì, questa è una riflessione totalmente di parte e tale vuole essere, perché in questo momento storico e di fronte a eventi come questo non si può non tentare di denunciare cosa sta accadendo. Parlare non costa (ancora) nulla, e la condanna verso eventi di questo tipo deve essere totale. Non basta attuare una strategia pubblicitaria basata su falsi proclami di inclusione e “attivismo” da parte delle realtà che compongono il WCF, non basta nemmeno organizzare eventi apparentemente pacifici per ripulire la facciata di una macchina dell’odio e dell’arretratezza che non dovrebbe trovare posto nella società. I manifestanti in piazza portavano la voce potente di tutte le donne e tutti gli uomini del mondo che si oppongono a una struttura obsoleta che negli ultimi anni sta avendo dei rigurgiti del peggior passato. La Storia saprà dare lo spazio che merita a queste idee: l’oblio.

Claudio Antonio De Angelis


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