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Dietro le quinte del D-Day: l’agente Garbo

6 Giugno 1944 le truppe alleate sbarcano in Normandia e aprono un nuovo fronte di guerra in Europa dopo quelli russo e italiano, su cui impegnare le forze tedesche. Il più grande sbarco di uomini e mezzi della storia, l’Operazione Overlord, era stata pianificata nei minimi dettagli per oltre un anno e mezzo. Una delle parti meno conosciute di tutta la vicenda è sicuramente il grande sforzo compiuto dall’intelligence alleata (SOE britannico e OSS statunitense) per nascondere e dissimulare al controspionaggio nazista i reali piani dell’invasione.

Un contributo di vitale importanza per il successo dell’operazione è stato sicuramente quello prestato dall’agente spagnolo dell’ MI5 Juan Puyol Garcia, nome in codice “agente Garbo”. Nato a Barcellona nel 1912 da famiglia modesta che tuttavia gli aveva garantito una buona istruzione, dal 1936 si ritrova coinvolto come tutti i suoi connazionali nella guerra civile spagnola. Lontano dagli ideali politici estremisti di destra come di sinistra, riesce per oltre due anni a sfuggire al servizio militare grazie ai documenti falsi, per poi arruolarsi come volontario nelle truppe della Sinistra Repubblicana. Nel 1939, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, lo ritroviamo sposato e direttore di un albergo a Madrid, guardare dal di fuori l’evolversi degli eventi nella Spagna franchista neutrale. Intuisce che si sta per riproporre su scala quantomeno europea se non mondiale, il conflitto totale che ha lacerato il suo paese fino a poco prima.

La rapida evoluzione degli eventi durante la primavera-estate del 1940, gli fanno chiaramente comprendere come la Gran Bretagna, benché ormai sola ed isolata nella lotta contro le forze dell’Asse, sia l’unica potenza veramente in grado di opporvisi e scongiurare il dilagare della tirannide nazista in Europa. Si risolve quindi a prestare ogni aiuto nelle sue possibilità agli inglesi, costi quel costi. Così nel gennaio del ’41, sua moglie, si presenta all’Ambasciata Britannica a Madrid per offrire al governo di sua Maestà i servigi del marito. Gli inglesi non si dimostrano affatto interessati, ma Puyol non demorde e decide di cambiare strategia.

La successiva primavera presentatosi sotto falso nome, “Señor Lopez”, all’Ambasciata Tedesca a Madrid, dichiarandosi un fervente fascista, in possesso di passaporto diplomatico britannico, offre i suoi servigi alla Germania nazista. I tedeschi non si fidano e gli fissano un appuntamento in un bar per incontrare il comandante dell’Abweher in Spagna, Karl-Erich Kühlenthal, nome in codice agente Carlos, e mostrargli il passaporto diplomatico in questione. Puyol fingendosi un militare franchista riesce ad introdursi nella stamperia statale e prodursi rocambolescamente il falso passaporto che mostrerà con successo all’agente Carlos. Diventa quindi a tutti gli effetti un membro dell’Abwehr, nome in codice “Alarich”, gli viene insegnato ad utilizzare l’inchiostro simpatico per comunicare con il suo referente a Madrid (Kühlenthal) e viene inviato nel Giugno ’41 in Portogallo, con la moglie, per raggiungere poi via aereo l’Inghilterra.

La sua missione, gli ordinano i nazisti, è quella di creare una fitta rete di spionaggio oltremanica che raccolga il maggior numero di informazioni utili sui movimenti nemici. Giunto a Lisbona Puyol tenta di mettersi in contatto con l’Ambasciata Britannica e stavolta spera, giocando la carta dell’agente Alarich con cui avrebbe fatto il doppio gioco, di essere arruolato nell’intelligence inglese. Sfortunatamente non ottiene nemmeno un colloquio e quindi non potendo raggiungere la Gran Bretagna con un passaporto falso, rimane bloccato in Portogallo con un grosso problema: i tedeschi attendono con ansia i suoi resoconti dall’Inghilterra. Non essendovi mai stato, comincia a raccogliere le informazioni false per i suoi rapporti cifrati da inviare all’Abwehr nella vastissima Biblioteca Comunale di Lisbona, acquista una mappa della Gran Bretagna, una guida turistica del paese, un libro sulla flotta navale reale, un dizionario di terminologia militare inglese-francese.

Giustifica il fatto che le lettere siano affrancate a Lisbona e non a Londra, inventandosi un fantomatico assistente di volo della KLM che in cambio di un dollaro a missiva, avrebbe preso le lettere da lui in Inghilterra e le avrebbe spedite da Lisbona per evitare il controspionaggio inglese. Puyol comincia quindi a scrivere periodicamente rapporti del tutto inventati all’Abwehr, citando nomi di imprese inglesi realmente esistenti che trova sulle pubblicità dei giornali. Racconta di aver ingaggiato tre agenti: uno in Galles del sud che controlla le truppe e la flotta a Sud-est, uno a Bootle che controlla i flussi nel porto di Liverpool e nel Nord-ovest del paese ed uno in Scozia e nel Nord-est che controlla le manovre militari a Glasgow e sul fiume Clyde.

La mole di lavoro è enorme: deve scrivere a mano libera il testo fittizio in spagnolo di ogni lettera con il normale inchiostro e poi tra le righe bianche, con un batuffolo di ovatta e l’inchiostro simpatico le informazioni false per l’Abwehr. Stilando a questo ritmo rapporti su un paese in cui in realtà non ha mai messo piede, Puyol finisce per commettere degli errori, di cui però non si accorgono i servizi segreti tedeschi bensì l’MI6 che passa l’informazione all’MI5. Gli analisti inglesi che intercettano la corrispondenza dell’Abwehr, giungono presto alla conclusione che per la stranezza dei rapporti e la falsità delle notizie riportate, a volte del tutto inventate, l’Agente Alarich non possa trovarsi effettivamente su suolo britannico. Decidono di dichiarare quindi alla stampa che trattasi di un impostore.

Puyol rischia a questo punto di essere smascherato ma si salva grazie ad un commento fortuito dell’MI5 in cui si afferma che: “uno spagnolo sta lavorando per lo spionaggio inglese da Lisbona”. Decide di giocarsi il tutto per tutto e si presenta all’Ambasciata Britannica nella capitale lusitana dichiarando di essere lui quello spagnolo, ma una volta ricevuto dai funzionari presenti, rivela invece di essere il famoso agente tedesco “Alarich”. Viene quindi tradotto in Inghilterra, dove nell’Aprile del ’42 è più volte interrogato dagli agenti britannici, in una villetta nei sobborghi di Londra, per accertare la sua vera identità. Puyol mostra loro tutte le lettere che in 9 mesi di intenso lavoro aveva inviato all’Abwehr, la prova definitiva che è chi dice di essere si trova in una di queste, dove si raccontava che l’agente di stanza a Bootle avesse visto partire convogli inglesi diretti a Malta dal porto di Liverpool. Fatto del tutto inventato, ma identico ad un messaggio tedesco intercettato qualche mese prima dal controspionaggio britannico. A questo punto l’MI5 si convince dell’identità di Puyol e lo ingaggia tra la sue fila col nome in codice di agente Garbo. Un omaggio, per le sue doti di improvvisatore, alla più grande attrice di Hollywood dell’epoca…

A Puyol viene assegnato come referente l’agente Thomas Harris, che intuisce le grandi potenzialità della risorsa e cerca di  sfruttarle al meglio. Ordina a Puyol di continuare a scrivere le lettere all’Abwher ma cambiando metodo: macchina da scrivere e poi pennino per l’inchiostro simpatico. L’agente Carlos a Madrid non nota nulla di strano, anzi lo ritiene una delle risorse migliori dell’organizzazione. Lo spionaggio tedesco richiede sempre più informazioni sui piani di invasione inglesi e così Puyol amplia la sua rete di informatori finti tutti sul libro paga dei nazisti, facendosi aiutare nella stesura dei finti rapporti da alcuni collaboratori a Jermyn Street. Successivamente Harris decide di “smantellare” parte della fittizia rete di spie in Inghilterra creata dallo spagnolo per giustificare le informazioni cruciali falsate sui preparativi alleati dell’Operazione Torch (lo sbarco in Nord Africa nel Novembre del ’42).

L’MI5 fa pubblicare addirittura un necrologio dell’agente di Alarich a Bootle sul Liverpool Daily Post che Puyol spedisce all’Abwehr a conferma della morte del suo agente… Nell’imminenza dell’Operazione Torch però vi è la necessità di convincere i tedeschi della bontà delle informazioni raccolte sul campo da Alarich, così Harris e Puyol fanno intanto prevenire loro frammenti di informazioni accurate, come ad esempio che navi con mimetizzazione mediterranea stanno lasciando i porti inglesi. Poi, ciliegina sulla torta, inviano una lettera in cui si fornisce il giorno e l’ora esatti dello sbarco alleato in Africa una volta che è già avvenuto, retrodatando la missiva di una settimana. I tedeschi a cui il messaggio accurato arriva in ritardo, attribuiscono lo stesso alle falle del servizio postale dovute alla guerra e si convincono della qualità di prim’ordine delle informazioni inviate dall’agente Alarich.

A questo punto Puyol propone a Kühlenthal a Madrid di passare alle trasmissioni radio per lo scambio di informazioni e lui accetta di buon grado, gli racconta poi di aver ingaggiato altri 3 agenti: uno in Scozia, uno in Africa e la vedova dell’agente morto a Bootle. L’Abwehr gli manda allora 17 foto microscopiche di un piano per le trasmissioni radio più una nuova tavola cifrata per decodificare i messaggi tedeschi. Puyol gira immediatamente il materiale ai crittografi di Bletchley Park. All’alba del D-Day quindi i servizi segreti tedeschi sono convinti di possedere una fitta e solida rete di controspionaggio sul suolo britannico che in realtà non esiste affatto e gli inglesi dal canto loro, sono in grado di intercettare e decodificare tutti i messaggi dell’Abwehr grazie al doppio gioco dell’agente Grabo.

Il capolavoro della sua missione comincia proprio ora: bisogna ingannare in ogni modo i tedeschi circa la data ed il luogo esatti dello sbarco alleato in Europa, per la cui riuscita saranno decisive e cruciali le prime ventiquattro ore. I generali tedeschi sono convinti che lo sbarco avverrà nel punto più stretto della Manica tra Dover e Pas-de-Calais, non prima di metà Luglio ed è proprio attorno alla cittadina francese che stanziano la maggior parte delle loro divisioni corazzate e rinforzano le fortificazioni del Vallo Atlantico. Gli Alleati invece hanno pianificato di sbarcare ad inizio Giugno nel punto più lontano possibile da Calais, sulle spiagge della Normandia tra Cherbourg e Le Havre, proprio per incontrare la minor resistenza possibile.

Puyol ed Harris a Jermyn Street si mettono subito a lavoro e nei mesi precedenti al D-Day fanno pervenire all’Abwehr rapporti fasulli dagli agenti immaginari di Alarich, spostatisi per l’occasione tutti sulla costa meridionale dell’Inghilterra, in cui si riferisce di movimenti, addestramento di truppe e prove di sbarco di mezzi anfibi, lungo la costa attorno Dover e su tutto il settore antistante Pais-de-Calais. Puyol trasmette a Madrid di aver ottenuto le informazioni sulle manovre delle divisioni da un fantomatico sottufficiale dell’esercito statunitense. L’agente Carlos ritrasmette immediatamente tutto il traffico radio proveniente da Alarich, direttamente a Berlino. Secondo le informazioni ricevute dai tedeschi nel Sud-est dell’Inghilterra sono state raggruppate 11 divisioni alleate, per un totale di circa 150000 uomini, più mezzi anfibi e da sbarco, e le truppe americane che irromperanno a Pais-de-Calais saranno comandate dal Generale Patton (molto temuto dai nazisti).

Il 3 Giugno Alarich trasmette che nuove truppe statunitensi appena arrivate devono ancora addestrarsi, a Berlino concludono che lo sbarco non avverrà prima di due mesi e qualsiasi manovra precedente non sarà altroché un diversivo. Puyol non fa altro che confermare e gli Alleati per dare maggior vigore alla messa in scena bombardano incessantemente Pais-de-Calais già da fine Maggio ’44. Così arriva il fatidico giorno, il D-Day, nei piani di Eisenhower e Montgomery le truppe sarebbero dovute sbarcare sulle 5 spiagge per poi aprirsi la strada oltre il litorale e creare nelle prime 24 ore un fronte di 15 km nell’entroterra normanno che sarebbe servito da testa di ponte per i rifornimenti e la successiva avanzata in Francia. In realtà gli alleati trovarono di fronte a sé una resistenza ben organizzata e si impantanarono già dalle prime ore.

A questo punto per la riuscita dell’Operazione Overlord era importante far credere ai tedeschi che fossero solo manovre parte del piano diversivo, evitando così l’invio di ulteriori rinforzi. Al momento dello sbarco il comandante delle truppe tedesche in Francia, il Generale Rommel, si trovava in Germania per il compleanno della moglie e nei giorni frenetici che ne seguirono, ordinò comunque che 2 divisioni corazzate di rinforzo fossero inviate in Normandia. Per evitare che gli Alleati venissero ricacciati in mare, Puyol il 9 Giugno trasmette all’Abwehr: “La presente operazione, nonostante la vastità dell’attacco, non è altro che un diversivo! Il secondo e cruciale attacco avverrà su Pais-de-Calais!”. Il messaggio finisce direttamente tra le mani di Hitler che ordina personalmente alla I Divisione SS Panzer, che si dirigeva in Normandia, di fermarsi.

Viene annullato anche lo spostamento della XV Divisione di da Pais-de-Calais. Harris e Puyol non essendo sicuri che il piano abbia funzionato, continuano a trasmettere incessantemente messaggi all’Abwehr sui preparativi del fasullo attacco a Calais. Gli inglesi posizionano lungo le loro coste, nelle zone indicate nei rapporti di Alarich, aerei di cartapesta, carrarmati e mezzi anfibi gonfiabili che vengono prontamente fotografati dai ricognitori della Luftwaffe. La definizione dei fotogrammi dell’epoca era quel che era… Dalle foto sembravano in tutto e per tutto mezzi veri. I tedeschi quindi continuano a tenere 2 divisioni corazzate e circa 300000 soldati stanziati nei pressi di Pais-de-Calais, permettendo di fatto l’avanzata delle truppe alleate e la riuscita dell’Operazione Overlord. A fine Luglio le armate americane irrompono finalmente in Normandia e avanzano nel resto della Francia. Alle divisioni tedesche incredule non resta che ripiegare in patria e prima della metà di Settembre la Francia viene liberata.

Alla fine della guerra l’agente Alarich viene insignito della Croce di Ferro per i servizi resi alla Germania e gli vengono corrisposte 35000 pesetas. L’agente Garbo viene insignito dell’Ordine al Merito dell’Impero Britannico, più 15000 sterline di ringraziamento. Juan Puyol che era stato entrambi lascerà il Regno Unito a Giugno del ’45 per rifugiarsi infine, sotto falso nome, in Venezuela. Anni più tardi uscendo da uno di quei cimiteri della Normandia riempito da migliaia di croci, con il volto rigato da una lacrima, dirà: “Sapevo che avrei salvato migliaia di vite, ma credo di non aver fatto abbastanza!”

Luca Fiorentino

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Mezzo secolo in 10 romanzi: storia e letteratura con Andrea Argenio

Qualche giorno fa abbiamo sentito Andrea Argenio, ricercatore e docente di Storia contemporanea del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Roma Tre. Con lui ci siamo posti un obiettivo ambizioso, quello di riassumere la storia del Novecento italiano dalla Prima Guerra mondiale agli Anni di piombo mediante i romanzi che hanno parlato degli eventi salienti di metà del secolo breve. I romanzi restituiscono infatti spesso in presa diretta gli eventi e gli stati d’animo dei tempi presi in esame, dando un contributo significativo all’analisi storica.

Partendo dalla Prima Guerra mondiale, di cui si è parlato molto negli ultimi anni di anniversari, il professor Argenio ha portato due romanzi di cui uno meno conosciuto, del 1975, edito da Adelphi: Contro-passato prossimo” di Guido Morselli. Libro molto moderno, che potremmo definire ucronico, si interrga su cosa sarebbe successo se l’Italia fosse stata invasa dagli Austriaci. Morselli narra proprio gli eventi successivi all’immaginaria Edelweiss Expedition, l’operazione militare con cui gli austriaci conquistano nel giro di poche ore l’Italia settentrionale, lasciando l’italia in una situazione sconcertante da cui verrà salvata da Giovanni Giolitti, che anche qui era colui che la guerra non voleva farla, che voleva che l’Italia restasse neutrale.
Il secondo consiglio per la Prima Guerra mondiale è invece un classico: “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu, politico antifascista e combattente, che racconta la sua vicenda personale di ufficiale della Brigata Sassari, brigata dell’esercito italiano composta in larga parte da pastori sardi. Il libro è a metà tra l’autobiografia e il saggio storico, non essendo del tutto attinente alla realtà, però narra veramente bene le vicende di quella guerra è ha contribuito a creare il mito della Brigata Sassari, uno dei massimi orgogli della Sardegna, che ancora è applauditissima nelle sfilate del 2 Giugno. Da questo libro è stato poi tratto molto liberamente il film “Uomini contro”  di Francesco Rosi con uno spettacolare Gian Maria Volonté.

Siamo passati poi al fascismo, con due libri che raccontano il fascismo in modo “intimo”. Il primo libro è “Tempi memorabili” di Carlo Cassola, edito nel 1966, che racconta le vacanze che un giovane ragazzo di nome Fausto trascorre con la famiglia a Marina di Cecina. Ambientato negli anni 30, poco prima della guerra in Etiopia, questo è il racconto dell’ultima estate passata con i genitori prima di diventare grande, un racconto dagli accenti nostalgici e proustiani, nel quale la narrazione di quei tempi si fonde con quella degli eventi politici contemporanei.
L’altro consiglio è “Cinque storie ferraresi” di Giorgio Bassani. I racconti narrano cinque vicende della città di Ferrara, città in cui l’autore è nato e dove era presente una foltissima comunità ebraica che subirà sulla propria pelle le leggi razziali del 1938 e le deportazioni nei campi di sterminio. All’interno di questi racconti ce n’è uno chiamato “La lunga notte del ’43”, che poi verrà portato al cinematografo dal regista esordiente Florestano Vancini, che racconta dell’uccisione del segretario del Partito Fascista Repubblicano – quindi già in piena Salò – avvenuta in seno allo stesso movimento fascista repubblichino che però fu imputata ai partigiani, il che portò a cruenti rappresaglie, le cui atmosfere torbide di una Ferrara piovosa e nebbiosa vengono fedelmente riportate da Bassani.

Passando alla resistenza non si può non citare “Una questione privata” di Beppe Fenoglio, libro che fa parte della nostra storia e che contiene tutto: c’è la resistenza ma c’è anche una storia d’amore, in un contesto molto ben dettagliato dall’autore. Anche in questo caso il cinema si è appropriato di quest’opera: i fratelli Taviani ne hanno tratto un film omonimo con Luca Marinelli; film che si prende qualche libertà, essendo gli attori che interpretano una banda di partigiani delle Langhe piemontesi tutti dotati di un marcato accento romano.
Un altro libro, anch’esso poco conosciuto, è Tiro al piccione” di Giose Rimanelli, autore emigrato negli Stati Uniti dove poi ha insegnato letteratura italiana. Qui la guerra civile viene narrata dal punto di vista di un ragazzo meridionale trasferito a Salò. Stanco della propria vita noiosa in Molise, il giovane protagonista scappa al nord e va a combattere con le brigate nere della RSI, e lì si renderà conto della crudeltà della guerra civile e dell’efferatezza delle stragi compiute, nonché del rapporto alleato con quelli che dovrebbero essere i suoi alleati, i Tedeschi, fino a pentirsi della scelta fatta.

Ci siamo spinti poi fino al boom economico con due libri molto particolari. Il primo è “Un amore” di Dino Buzzati, libro che racconta l’ossessione amorosa di un quasi cinquantenne lombardo che si innamora di una giovane prostituta, nella Milano che va a duecento all’ora del boom economico, la Milano dei grattacieli, del Pirellone, della Torre Velasca, dell’Autostrada del Sole inaugurata da poco, della chiusura delle case d’appuntamenti eliminate pochi anni prima dalla legge Merlin del 1958 che però non ha fermato la prostituzione ma che anzi la lascia prosperare senza regolazione statale. Il tutto raccontato con la finezza psicologica di Buzzati, che non fu solo scrittore ma anche giornalista.
Altro consiglio è Fratelli d’Italia” di Alberto Arbasino, un libro molto voluminoso (è sulle mille pagine) che racconta in presa diretta il boom economico e come viene vissuto nelle varie città italiane, attraverso aspetti molto semplici ma indicativi come le vacanze al mare, i pranzi e le cene fuori, il lavoro che cambia, i grandi successi del cinema e la sua dolce vita, sia quella di Fellini che quella che si viveva realmente a Roma. Un viaggio molto veloce, che è l’aggettivo che caratterizza tutto il boom economico con la sua motorizzazione di massa. La scrittura è a tratti contorta per via del massivo utilizzo dello stream of consciousness, ma è molto affascinante, essendo una quasi da catena di montaggio, al limite del taylorismo.

Gli ultimi consigli riguardano invece gli Anni di piombo. Il primo libro consigliato su questi anni è “Tornavamo dal mare” di Luca Doninelli, libro del 2004, la storia di una giovane ragazza madre che ha avuto un’esperienza con la lotta armata negli anni 70 di cui non ha mai parlato a sua figlia e che durante una vacanza al mare viene raggiunta da una persona che invece ha molto da raccontare su quegli anni. Senza voler aggiungere molto, anche questo romanzo è un ritorno al passato a una vicenda scabrosa come quella egli Anni di piombo, che sono stati molto raccontati dal cinema ma sicuramente meno dalla letteratura.
L’ultimo consiglio non è propriamente sugli anni di piombo ma è una presa diretta degli anni 70, una serie di racconti intitolata “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli, libro del 1980 edito da Feltrinelli. I vari racconti narrano com’era essere giovani negli anni 70, il rapporto con la violenza politica e le manifestazioni in un Paese che cambiava radicalmente: pur essendo ancora impregnato di panpoliticismo, essendo impossibile fare qualcosa senza che esso abbia anche una valenza politica, si stava pian piano arrivando negli anni 80, quindi nel riflusso e nel rifiuto della politica, cercando un rifugio nelle droghe, nelle vacanze, nelle palestre, negli amori omosessuali, in quello che Roberto D’Agostino chiamerà “edonismo reaganiano”. Dichiaratamente omosessuale, nato a Correggio come il cantautore Luciano Ligabue che lo avrà come modello nella scrittura e nella direzione del film “Radiofreccia”, Tonelli avrà una vita molto breve e profondamente coincidente con quanto narrato dai suoi racconti, morendo infine nel 1991 di AIDS, il grande cancro che ha segnato l’aspetto più nefasto degli anni 80 di cui egli fu cantore.

Paolo Palladino