Qualcuno ha detto che non ci sono poteri buoni. L’accettazione di qualsiasi forma di potere e delle condizioni proposte o imposte presuppone un dovere di coloro che partecipano al patto, quello di sottostare ai vincoli imposti dall’accordo. Il dovere si esprime quindi in senso di negatività, di qualcosa che faccio perché non posso non farlo, e viene percepito come un elemento altro da me che io recepisco e accetto.
In una logica di comprensione della realtà o di modifica della stessa, però, non solo esistono poteri meno buoni di altri ma soprattutto ogni forma di potere funziona su delle logiche che cambiano nel tempo e nello spazio e che quindi vanno analizzate e capite.
A questo scopo, ci viene in aiuto il dibattuto lavoro di un filosofo contemporaneo Byung-Chul Han, il quale trasferitosi dalla Corea in Germania all’inizio degli anni ’90, si inserisce in un filone di critica intellettuale dell’odierna società capitalistica e neo-liberale, attraverso categorie della filosofia foucaultiana e post-foucaultiana, che utilizza e supera, ricorrendo a concetti che hanno a che fare con discipline che comprendono l’etica, la filosofia sociale e fenomenologica, la teoria culturale e dei media, il pensiero religioso e l’estetica.
Secondo la lettura che Byung-Chul Han fa sulla nostra contemporaneità, la differenza tra il capitalismo neoliberista e qualsiasi altra forma organizzativa precedente è stata passare dal paradigma del dovere a quello del potere, trasformando un’energia negativa in una positiva che narra la vita e la società come una promessa di infinite possibilità che alla fine illude, deprime e sfinisce l’uomo.
L’uomo del nostro tempo, non fa perché deve, fa perché può ed è abituato a pensare che questa strada di infinite possibilità sia una promessa di realizzazione e di felicità. Interiorizzando questa logica, per cui nessuno ci obbliga a rincorrere l’infinito e la perfezione e il di più, l’uomo diventa l’unico responsabile del proprio successo e anche del proprio fallimento con la forte convinzione che non esistano limiti alla propria felicità o fortuna.
La figura di persona di successo, il modello di realizzazione associato al concetto di perfezione, è quella di una persona votata al concetto di poter fare, veloce nel farlo, capace di occuparsi di tante cose nello stesso momento e che in una sorta di ritmo che non ammette differenze, attraversa tutte le tappe della vita così come è funzionale all’organizzazione socio-economica della nostra società. Il paradosso si esprime nell’imperativo “Sii libero!”.
Non è un caso il fatto che il nostro tempo venga sempre più spesso associato al tempo delle malattie mentali, agli esaurimenti, alla depressione e alle malattie neuronali che per quanto diverse tra loro hanno in comune una struttura post-immunologica: non sono malattie provocate dal diverso, ossia da un attacco esterno sia esso batterico o virale, ma dall’eguale, ovvero dal nostro stesso corpo, dalle nostre stesse convinzioni, dal nostro stesso spirito.
Byung-Chul Han, utilizza la metafora immunologica nel suo “La società della stanchezza” per spiegare come quell’energia positiva, l’energia del potere sia lo strumento di controllo più potente che ci sia, e che proprio la nostra società contemporanea votata al profitto e al progresso adopera. Questo mette in atto un meccanismo di sfruttamento estremamente intelligente, quello dove padrone e lavoratore o più in generale vittima e carnefice coincidono.
La negazione del limite e del finito caratterizza la narrativa e i tutti i campi della nostra società ma è profondamente illusoria. E’ agli occhi di tutti che la comunicazione online ha svuotato di significato la percezione delle distanze o che la produzione a basso costo permette l’illusione di un consumo infinito.
In alcuni casi, l’eliminazione del limite è meno chiaro, eppure l’asservimento alla funzione del potere è estremamente profondo. La difesa della nuda vita e la trasformazione della salute in quanto tale in valore assoluto, per esempio, è manifestazione della negazione del limite della morte.
Nella nostra realtà, la morte non viene accettata ma evitata a tutti i costi. Se questa logica ci rende apparentemente liberi, ci condanna ad una mania di onnipotenza che ci fa temere la morte al punto da diventare schiavi di questa paura e di vivere in una modalità di difesa della nuda vita invece che di valorizzazione della stessa. Il sentire di poter vincere la morte è funzionale alla logica neoliberista perché coincide con la negazione della perdita assoluta e con il mito del progresso infinito.
Aristotele già lo aveva detto che l’accumulazione del guadagno finisce per trascurare la buona vita in favore della nuda vita. L’etica protestante gli ha trovato una giustificazione in senso di sacrificio. La nostra contemporaneità lo innalza a valore assoluto per cui l’uomo utilizza il mito della buona salute per difendere la nuda vita a tutti i costi, asservendosi così al lavoro.
Ma persino l’eros è vittima di questa illusione di superamento del limite. Persino l’eros, è diventato strumento di autosfruttamento nella illusione di libertà. Nel saggio “Eros in agonia”, Byung-Chul Han spiega come l’Eros presupponga un superamento dell’individuo, l’accettazione della finitezza dell’Io e l’incontro con l’Altro, oltre una logica di possesso.
Per quanto non sempre chiaro, l’amore e l’eros si basano su una logica di relazione e la relazione è possibile solo se resiste una distanza e una differenza tra io e l’altro. L’eliminazione del limite tra l’io e l’altro uccide l’Eros e lo piega a strumento di consumo di corpi e anime, a logiche di prestazione e di accumulazione, all’ottimizzazione del proprio guadagno e all’eliminazione del rischio che presuppone l’incontro con l’altro, cose che niente hanno a che fare con l’Eros.
Il risultato di tutto ciò è la generazione di una società di persone sole, frustrate, depresse, incapaci di amarsi, incapaci di mettersi in relazione con l’altro, votate solo all’accumulazione e al consumo dell’esistenza, delle distanze, delle velocità e della difesa della propria vita.
Se su un piano di prassi, separare le categorie dell’Io e degli altri, o i piani di privato e pubblico non ha senso ai fini di un’azione di cambiamento efficace, ai fini dell’analisi non solo è utile farlo ma diventa essenziale partire dal discorso dell’autosfruttamento per capire come funziona il nostro sistema di potere.
Byung-Chul Han viene spesso criticato per il fatto di limitarsi ad un piano di analisi che innesca un sistema di colpevolizzazione degli sfruttati che per di più nei suoi scritti sembrano coincidere con una classe medio-borghese. Ma nell’analisi è indispensabile capire come ogni logica di potere che osserviamo all’esterno, altro non è che una proiezione di quello che succede quotidianamente nella nostra testa e sul nostro corpo per nostra stessa mano. Porre l’accento sul fatto che questa logica sia, almeno in parte, trasversale alle diverse classi sociali non deve sostituire ma integrare quelle analisi che tendono a sottolineare la specifica condizione in cui versano le diverse classi sociali.
Combattere la società della stanchezza presuppone una forte lavoro di analisi e messa in discussione dei nostri stessi comportamenti e credenze che si legano strettamente agli obiettivi che ci poniamo nella nostra vita personale e al modo in cui tentiamo di raggiungerli.
Il concetto di stanchezza diventa in questo senso uno strumento di comprensione molto potente. Infatti, la stanchezza può svuotarci o nutrirci ma questo non dipende dalla quantità di sforzo che abbiamo fatto ma piuttosto dalla qualità. La stanchezza che deriva da una lunga giornata di attività in una condizione di connessione con sé stesso e con il mondo, forse ci farà buttare a letto la sera senza più energie ma è in realtà una stanchezza che ci nutre e rigenera. La stanchezza che invece deriva da una condizione di isolamento, alienazione o rincorsa, è una stanchezza che ci opprime, svuota e distrugge.
Vale la pena sprecarci un po’ di tempo a riflettere sulla qualità e l’origine della nostra stanchezza, magari sottraendoci dal fare qualcosa che proprio potevamo fare ma che alla fine era meglio non fare.
Francesca Di Biase
Fonti
- Byung-Chul Han (2012). La società della stanchezza. Gransasso nottetempo.
- Byung-Chul Han (2013). Eros in agonia. Figure nottetempo.