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Diritti civili in bilico: i casi Regeni e Zaki tra i tentennamenti UE

“Un’ingiustizia fatta all’individuo è una minaccia fatta a tutta la società”.
(Montesquieu, filosofo e giurista francese del XVIII secolo)

Due casi. Entrambi ancora irrisolti. A quasi cinque anni dalla scomparsa di Giulio Regeni e dieci mesi dall’arresto di Patrick Zaki, la trama continua a infittirsi e la verità sembra essere sempre più confusa e lontana. Sotto i riflettori del mondo intero, il regime di Al-Sisi assume le sembianze di una fortezza arroccata e invalicabile al cui vertice si trova un leader del quale l’Occidente non riesce ad avere un controllo

Il 30 novembre scorso la Procura di Roma, titolare dell’inchiesta, ha dichiarato di chiudere le indagini a carico di cinque appartenenti ai servizi segreti egiziani anche noti come National Security. Il procuratore generale d’Egitto, Hamada Al-Sawi, nel corso della videoconferenza con il procuratore italiano Michele Prestipino, ha affermato, relativamente alle indagini italiane che “avanza riserve sulla solidità del quadro probatorio costituito da prove insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio” inoltre viene aggiunto che “la Procura Generale d’Egitto ritiene che l’esecutore materiale dell’omicidio di Giulio Regeni sia ancora ignoto”.  

Le indagini della procura romana hanno portato a una possibile pista che fa risalire a Mohamed Abdallah come l’elemento determinante nell’uccisione di Giulio. Ex giornalista, leader del sindacato indipendente dei venditori ambulanti, Abdallah si rivelò essere anche informatore della National Security. Nell’ottobre 2015 Giulio, che in quel periodo stava portando avanti la sua ricerca sui sindacati indipendenti egiziani, lo incontrò sette volte.

La delicatezza della tematica sindacalista in Egitto è da ricondurre alle proteste di piazza Tahrir. Il 25 gennaio 2011, data della rivoluzione egiziana, il movimento “Sei Aprile” pose fine al governo Mubarak in carica da trent’anni. Il movimento era nato poco tempo prima come promotore del primo sciopero dell’Egitto moderno, il grande sciopero nella fabbrica tessile di Mahalla al-Kubra che fu apripista per una serie di riforme sociali, motore vibrante della rivoluzione. 

Nel 2013 il colpo di stato consentì ad Abd al-Fattah al-Sisi, comandante in capo delle forze armate egiziane e uomo d’apparato sotto la presidenza Mubarak, di salire al potere. Il 28 aprile 2015 una sentenza dell’Alta corte amministrativa del Cairo rese illegale lo sciopero, reprimendo il sindacalismo indipendente imputandogli false accuse di terrorismo e sabotaggio. 

È chiaro, quindi, perché la ricerca di Regeni, seppur accademica, abbia disturbato immediatamente gli interessi del regime di al-Sisi. Secondo gli inquirenti italiani, Abdallah tradì Regeni riferendo dell’interesse dello studente per il sindacalismo indipendente al colonnello Ather Kamal, ufficiale della polizia investigativa. Il 5 gennaio gli agenti chiesero ad Abdallah di utilizzare una telecamera nascosta per registrare lo studente italiano. Queste saranno le ultime immagini che il mondo avrà di Regeni, immagini che ritraggono Abdallah chiedere dei soldi (si trattava di parte di un finanziamento da 10mila sterline arrivato da una fondazione britannica) alla quale richiesta lo studente risponde di non poter destinare ad un uso personale quel denaro.  

La sera del 25 gennaio 2016, nel quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, Giulio Regeni uscì di casa per incontrare l’amico Gennaro Gervasio in un caffè del centro, alle 19.41 mandò l’ultimo messaggio alla sua ragazza e dieci minuti dopo il suo cellulare smise di esistere. 

See me crumble and fall on my face
See it all disappear without trace

Mi vedo mentre mi sgretolo e cado di faccia
Vedo tutto sparire senza lasciare una traccia

Meet me on the road
Meet me where I said
Blame it all upon
A rush of blood to the head

Vediamoci per strada
Vediamoci dove ho detto
Tutta colpa di un rush di sangue alla testa

(“A Rush Full of Blood – Coldplay)

Da un controllo a posteriori del suo portatile, gli investigatori hanno rinvenuto Giulio per ultimo scaricò sul suo mp3 una canzone dei Coldplay poco prima di uscire quella sera, il cui testo impressiona sapendo ciò che sarebbe accaduto di li a poco.

Il cadavere martoriato del ricercatore sarebbe stato ritrovato solo nove giorni più tardi sul ciglio della superstrada Cairo-Alexandria alle porte del deserto. Lì sarebbe stata ritrovata anche una coperta in uso agli apparati militari egiziani. Altro fattore sospetto fu che il volto sfigurato non impedì alle autorità egiziane di capire che quel corpo privo di documenti fosse Giulio Regeni.

Claudio Regeni e Paola Deffendi, i genitori, sin dall’inizio sfidano il regime chiedendo verità per Giulio.

“Presidente, Lei dice di comprendere il nostro dolore, ma lo strazio che ci attraversa da mesi non è immaginabile. Lei, però, può intuire la nostra risolutezza e la nostra determinazione che condividiamo con migliaia di cittadini in tutto il mondo. Siamo una moltitudine severa e inarrestabile. Finché questa barbarie resterà impunita, finché i colpevoli, tutti i colpevoli, qualsiasi sia il loro ruolo, grado o funzione, non saranno assicurati alla giustizia italiana, nessun cittadino al mondo potrà più recarsi nel Vostro Paese sentendosi sicuro. E dove non c’è sicurezza non può esserci né amicizia né pace.”  

Scrivono in una lettera ad Al-Sisi (9 maggio 2019).

Il mondo osserva e chiede giustizia. I diritti umani sono i diritti in cui l’uomo ritrova la propria essenza.

Il 7 dicembre scorso il giudice della terza sezione del tribunale antiterrorismo del Cairo, in Egitto, ha deciso che l’egiziano Patrick Zaki, studente dell’Alma Mater di Bologna, dovrà restare in carcere altri 45 giorni. La decisione del giudice è stata resa nota mediante un tweet dell’Eipr (Egyptian Initiative for Personal Rights), l’organizzazione non governativa per la quale Zaki lavora come ricercatore per i diritti Lgbtq+.

Il silenzio assordante della Farnesina si va a fondere con gli 871€ milioni di attrezzature militari vendute dall’Italia al regime, e alla firma dei nuovi accordi tra Eni ed Egitto avvenuta proprio pochi giorni fa, il 2 dicembre.

Il governo italiano continua a rivendicare giustizia per i diritti umani ma lo fa con un piede in due staffe e questo non è più ammissibile. È ora che l’Unione Europea e l’Italia prendano una posizione netta e coerente con gli ideali che dicono di difendere. Finché questo non avverrà Al-Sisi non potrà che sentirsi legittimato a continuare le sue politiche rendendo l’Egitto un paese insidioso, in grado di piegare gli equilibri geopolitici nel Mediterraneo e nel mondo. 

Zoe Votta

Fonti:

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Una donna alla guida degli S&D

“Nelle ultime settimane ho avuto scambi con molti di voi e siamo tutti d’accordo: dobbiamo fornire ai cittadini risposte ferme e innovative in questo momento cruciale per il progetto europeo e per la nostra famiglia politica, la socialdemocrazia europea” sono le parole di Iratxe García Pérez, classe ’74, spagnola, una grande esperienza politica e soprattutto all’interno del gruppo socialista in Spagna.

Per la seconda volta, in 20 anni, è una donna a guidare la presidenza S&D in Europa. David Sassoli ha proposto l’elezione per acclamazione all’assemblea del gruppo.

“Da quando è stata creata l’Unione Europea non è stata mai così tanto minacciata come oggi – ha aggiunto -, negli ultimi anni abbiamo assistito all’emergere di partiti populisti, eurofobi, xenofobi e di estrema destra che stanno facendo riemergere i peggiori fantasmi del nostro passato”.

García ha una visione di europa progressista ma soprattutto pone al primo posto gli errori del gruppo S&D: un gruppo che è stato assente per le classi più deboli soprattutto nell’affrontare le risposte alla crisi economica. Le sue parole puntano a un’azione politica che possa seguire azioni sociali per i cittadini europei.

Il messaggio che lancia parla di azioni concrete, di aver realizzato le disuguaglianze dovute alla globalizzazione e finalmente ricerca risposte valide e coerenti a riguardo.

A fine discorso conclude dicendo che: “Ci spetta un ruolo di primo piano nell’innescare i processi di cambiamento necessari e dobbiamo rimanere al servizio dei cittadini per garantire standard sociali più equi, combattere i cambiamenti climatici, proteggere e migliorare i diritti dei lavoratori in un’economia sostenibile, ed essere un faro di libertà e democrazia per il mondo.”

Inoltre il gruppo S&D sta insistendo per il proprio spizenkandidat, nonostante la posizione di svantaggio per il proprio nome Frans Timmermans, sottolinea quanto il metodo debba essere applicato per l’elezione del presidente della Commissione UE. La presidentessa sottolinea quanto il parlamento e in particolare il gruppo S&D sia concentrato sulla riuscita della metodologia spizenkandidat, il rischio è che questo stallo all’interno del Consiglio nel decidere il nome possa portarsi anche dentro il parlamento europeo senza una maggioranza schiacciante.

Durante la sua carriera politica vediamo una donna che è concentrata su due tematiche estremamente progressiste: membro fondamentale nell commissione dei diritti delle donne e soprattutto lo sviluppo regionale nella commissione REG.

Convergenza economica e parità di genere, basi fondamentali delle famiglie socialiste che ci raccontano quanto questa donna possa rappresentare a pieno le battaglie più difficili per la nostra Europa.

Per concludere la sua grande sensibilità per il settore agroalimentare e per le esigenze dei paesi mediterranei come l’Italia la rendono una presidentessa resiliente in materie delicate per il proprio (Spagna) e il nostro paese.

Un grande augurio a una famiglia europea socialista più unita, più donna e più innovativa!

Giulia Olivieri

 

Oligarchia, alleanze improvvise e tentativo di colpo di stato… cosa sta accadendo in Moldavia?

La Repubblica di Moldova in questi giorni sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia. Da anni questo paese è rappresentato dalla stampa internazionale come uno stato tra i più poveri d’Europa e alla mercé del leader del partito democratico (PDM) Vlad Plahotniuc. Questo personaggio detiene il potere (Corte Costituzionale, Procura, Polizia, Mass Media) grazie a una tecnica ad hoc: assicurarsi il potere tramite la minaccia esplicita di far muovere dossier compromettenti da parte degli organi di Giustizia, da lui stesso controllati, nei confronti di funzionari pubblici che detengono i posti chiave nell’amministrazione dello stato. Quindi gli stessi funzionari pubblici – e non – sono obbligati a subordinarsi ai suoi ordini, per non perdere il posto di lavoro e fare i conti con la giustizia.

Con questo metodo ha controllato il governo e la maggioranza del parlamento fino alle elezioni parlamentari del 24 Febbraio 2019, anche se fino a quel momento “ufficialmente” conosciuto come una persona esterna al processo politico. Così facendo ha esteso la sua influenza con la nomina di parenti stretti o persone fidate persino nella Corte Costituzionale (2018), nel Parlamento e in altre istituzioni di spicco tra cui i servizi segreti e l’organo abilitato all’anti-corruzione. Di fatto ha spianato la strada verso la conquista “legale” del potere, come leader del suo partito, tramite le elezioni parlamentari di febbraio di quest’anno.

Con le elezioni parlamentari del 24 febbraio si aggiudica un seggio al parlamento e il suo partito risulta essere al secondo posto con 30 seggi, dopo il Partito dei Socialisti della Moldova (PSRM) con 35 Seggi e la coalizione pro-europeista ACUM con 26 Seggi.  Dopo circa tre mesi da queste elezioni non si è giunti ad un accordo e quindi non si è creata la maggioranza parlamentare necessaria in grado di formare un governo. Fino all’8 giugno, quando è successo un fatto che ha sorpreso tutti.

Il partito socialista di Igor Dodon (che è anche il Presidente della Repubblica), insieme alla coalizione ACUM tra partiti di centrodestra europeisti e anticorruzione, guidati da Maia Sandu, sono riusciti a trovare un accordo per formare il governo. Questo è stato uno sviluppo inaspettato, perché sono due partiti di orientamenti completamente opposti, senza contare che tra i due leader c’è stata un’aspra competizione nel 2016, dopo che si sono sfidati alle presidenziali dove è risultato vincente Dodon di appena 80.000 voti, accusato dalla stessa Maia Sandu di aver diffuso notizie false e diffamanti sul suo conto e di aver usato i media filorussi nella campagna elettorale.
Hanno accettato di allearsi con l’unico scopo di escludere dal governo il partito di Vlad Plahotniuc, riuscendo ad ottenere così la maggioranza con 61 deputati su 101, la nomina di un nuovo Presidente del Parlamento e delle Commissioni Permanenti, la nomina di Maia Sandu come Primo Ministro e quindi di un nuovo esecutivo, come anche la nomina di nuovi funzionari per il Centro anti Corruzione ed altri. Questo incontro si è svolto in un modo molto spartano, poiché il segretario del Parlamento non si è presentato al lavoro. È stata tolta la luce intenzionalmente all’intera rete del Parlamento, senza contare che c’è stato anche un allarme bomba in precedenza dato dalle forze dell’ordine. Tutto questo solo per rallentare i lavori o fermarli completamente. A questo incontro anche i rappresentanti diplomatici hanno avuto difficoltà ad accedere alla struttura, come nel caso dell’ambasciatore Ue a Chisinau, Peter Michalko.

Russia, Unione Europea e Stati Uniti si sono espressi a favore della nuova coalizione già dall’incontro avvenuto a Chisinau lo scorso 3 giugno tra i principali rappresentati esteri, quando forse per la prima volta nella storia sono riusciti a trovare un’intesa sull’argomento.

Vlad Plahotniuc attualmente detiene il controllo della Corte Costituzionale e degli organi giuridici del paese, come il controllo della polizia e dei Mass Media, soprattutto tv. Tutti questi mezzi sono risultati vincenti per una mobilitazione di persone esortate a uscire e protestare, poiché le stesse persone mobilitate escono sotto la minaccia della perdita del lavoro o degli alloggi per gli studenti. Già da sabato sera le mobilitazioni erano effettive, poiché si vedevano già le prime tende installate davanti alle diverse istituzioni, dove il nuovo governo avrebbe dovuto cominciare il suo lavoro lunedì 10 Giugno. Da notare che la polizia (diversamente dal solito), non ha fatto resistenza rispetto ad altre proteste come quella di Petrenco di qualche anno fa davanti alla Procura Generale, o quella del 26 agosto 2018 dove ha immediatamente evacuato e arrestato i manifestanti, perfino gli stessi Maia Sandu e Andrei Nastase, leader della coalizione pro-europeista ACUM. Si evidenzia come i vari funzionari pubblici non si siano ancora subordinati agli ordini del nuovo governo, ma eseguono gli ordini del vecchio governo di Plahotniuc. Lo stesso Igor Dodon e Maia Sandu chiedono che ci sia una transizione pacifica dei poteri dello stato al nuovo governo.

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Il 9 giugno la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la plenaria del primo Parlamento e la formazione del governo di Maia Sandu del giorno precedente, una sentenza che è stata decretata in un modo sorprendentemente veloce. La stessa Corte ha investito l’ex Primo Ministro del governo di Plahotniuc, Pavel Filip, come Presidente della Repubblica, che a sua volta ha firmato il decreto per lo scioglimento immediato del Parlamento, stabilendo inoltre la data delle prossime elezioni anticipate per il 6 settembre, che è un venerdì e non una domenica come da prassi in Moldavia. Il nuovo governo di Maia Sandu e il Presidente della Repubblica Dodon hanno dichiarato a loro volta l’invalidità dell’investitura del Presidente Filip dalla Corte Costituzionale, poiché la stessa Corte è sotto l’influenza diretta di Vlad Plahotniuc, e quindi ogni decisione da essa presa sarebbe invalida. Su questa posizione è d’accordo l’intera comunità internazionale, tra cui fino ad oggi Unione Europea, Russia, Stati Uniti, Romania, che riconoscono il governo di Maia Sandu come quello legittimo, come lo stesso Presidente della Repubblica Igor Dodon e il Parlamento eletto il 24 febbraio 2019.

In questo giorno Vlad Plahotniuc ha mobilitato molte persone dall’intera Moldavia, sempre con le stesse minacce, ad una grande protesta nel centro della capitale partecipando egli stesso alla manifestazione (mai accaduto) e atteggiandosi da salvatore della patria e inneggiando ad una condanna ai traditori che hanno fatto la coalizione. Per la prima volta sono stati “lanciati” dei tacchini (alcuni vivi, alcuni morti) come atti intimidatori oltre la recinzione della sede del Palazzo del Presidente della Repubblica, soprattutto nei confronti del Presidente della Repubblica che è stato costretto a far ospitare la sua famiglia nell’ambasciata russa per precauzione. Il gesto è stato condannato da un’associazione animalista, ma che comunque pone molti interrogativi su un metodo che è usato principalmente da cosche e Mafia, non da rappresentanti di un partito.

I 61 Deputati che adesso detengono la maggioranza in Parlamento vengono minacciati continuamente già dalla formazione del nuovo governo, principalmente con dossier compromettenti nei loro confronti e dei loro familiari. Per il momento nessun atto intimidatorio così forte è stato fatto nei loro confronti o ai loro parenti, ma si attendono vicissitudini importanti nelle giornate a venire.

In questo momento storico la Moldavia chiede il sostegno di tutta la comunità internazionale, contro questo abuso verso i diritti umani e il tentativo di una minoranza di accaparrarsi il potere e attentare direttamente al sistema delle democrazie liberali.

Dan Munteanu


SITOGRAFIA

In due è amore, in tre è una festa, in 27/28 è quasi un rave!

“In due è amore, in tre è una festa”, cantava così “Lo stato sociale”, cantava così anche la squadra Conte – Salvini – Di Maio prima che iniziassero a ballare un po’ di meno.

Poi l’UE ha aggiunto: “In due è amore, in tre è una festa, in 27/28 è quasi un rave!” peccato che a noi non ci abbia invitato nessuno. Elezioni europee, Salvini definisce una grande vittoria, Di Maio ne parla poco e niente, Conte decide di fare una ramanzina in comunicato stampa nazionale ricordando un po’ a tutti che comunque lui esiste.

Situazione bizzara però è quella che viene, quella che evolve e quella che racconta in realtà il seguito dell’entusiasmo alle elezioni europee.

Come mai?

Sembra strano ma per ora la festa italiana all’interno dei tavoli europei è più o meno out: gli invitati sono tanti ma i partecipanti quasi zero.
I due hanno di sicuro l’ansia da prestazione pre-party, controllando di continuo il profilo facebook e sussurrandosi mosse astute per far mettere partecipo: nonostante i palloncini promessi e l’alcool in abbondanza non vi è nessuno nella lista di chi verrà alla festa.

Ieri sera nessun italiano presente al tavolo: il potere comunitario non è preso in considerazione da nessuno di noi.

Eccoli i magnifici sei che aprono i giochi: Pedro Sanchez e Antonio Costa (capi dei governi socialisti di Spagna e Portogallo), per i Popolari il croato Andrej Plenkovic e il lettone Krisjanis Karins, il premier belga Charles Michel e il collega olandese Mark Rutte per i Liberali.

– E litalia? –

Le famiglie politiche che governeranno l’Europa sono popolari, socialisti e liberali.

I nostri partiti di maggioranza sono la Lega e M5S ma parlamento europeo i nostri due partiti andranno in gruppi di minoranza. E anche piuttosto malmessi o tutti ancora da definire.
Di Maio ha ricevuto un buon numero di porte in faccia e Salvini non le ha nemmeno pensate gongolandosi all’interno di una dimensione di felicità mista a surrealismo.

La tappa fondamentale, per arrivare alle nomine UE, sarà quella del Consiglio Europeo del 20 e 21 giugno, che potrebbe non essere però risolutivo, tanto che già sono in (possibile) agenda altri prima della plenaria dell’Europarlamento che il 2 luglio, a Strasburgo, dovrebbe eleggere il nuovo presidente dell’Aula.

Per adesso l’unica nostra speranza è un possibile commissario UE (che è diverso dalla nomina del presidente del Consiglio, piccolo reminder per Di Maio, poi ripassiamo l’articoletto insieme).

Conte nel Consiglio d’Europa naturalmente c’è, ma senza potere non avendo una famiglia politica in Europa su cui poggiarsi.

La copertina dell’Espresso oggi parla chiaro: ITALIA GAME OVER.

Paralizzati da una crisi politica fortissima e vicini a una procedura di infrazione insieme a un non potere all’interno delle istituzioni, nulla ci può salvare oltre che la consapevolezza di far parte di un gioco più grande del nostro.
La presunzione, però, vige e regna sovrana, nessuno può pensare di poter distruggere queste logiche e fino a quando i nostri vertici penseranno che stare soli è l’unica nostra mossa sensata, ci ritroveremo a calare a picco lentamente.

Giulia Olivieri

 

La Strillettera Europea: procedure d’infrazione fantastiche e dove trovarle

Secondo il Human Development Report OCSE del 2009, circa il 47% degli italiani sono considerabili analfabeti funzionali, cioè non sono in grado di leggere e comprendere un testo in maniera appunto funzionale, privi di qualsiasi approccio critico e capacità di analisi del testo. Fintanto che le persone non sanno leggere gli orari dell’autobus o utilizzare un computer i danni, seppur presenti, risultano limitati.

La grande problematicità dell’analfabetismo funzionale emerge qualora si debba poi decifrare una notizia di rilevanza politica a ridosso delle elezioni. Senza spirito critico dell’informazione e una capacità di piena comprensione, la possibilità di essere tratto in inganno e in errore è molto più alta.

Peggio sarebbe se casi di analfabetismo funzionale si trovassero al governo o ai vertici di potere.

“Tutti gli ultimi anni, con la cura Monti, la cura Letta, la cura Renzi, la cura Gentiloni, la cura dei tagli e delle chiusure, dimostrano l’esatto contrario: il debito è cresciuto. Noi vogliamo fare quello che gli italiani ci chiedono di fare, ridurre le tasse

(Matteo Salvini a Otto e mezzo, 5 giugno 2019)

Nel 2017 l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche (-39.691 milioni di euro) è stato pari al 2,3% del Pil, in diminuzione di circa 1,9 miliardi rispetto al 2016 (-41.638 milioni di euro, corrispondente al 2,5% del Pil)”

(Dati ISTAT)

E le cifre sono queste: nel 2018 il debito è stato pari al 132,2%, rispetto al 131,4% del 2017, nel 2019 si attesterà al 133,7% e nel 2020 raggiungerà il 135,2%.”

(Il Sole24ore)

Il 29 maggio 2019 sulla scrivania del Ministro dell’Economia Giovanni Tria si è presentata una lettera molto dura da parte della Commissione Europea. Da molti nel mondo di Harry Potter potrebbe essere definita quasi una strillettera che sostengono avesse più o meno questa intenzione:

“Giovanni Tria! Come hai osato infrangere le regole sul disavanzo? Siamo veramente disgustati. Ora in Europa l’Italia sarà sottoposta ad un’inchiesta e sarà tutta colpa tua. Se farai un altro passo falso noi ti riporteremo la Troika a casa.”

Probabilmente non è esattamente così che il Ministro l’ha analizzata, anche se è plausibile che egli al momento della consegna della lettera sia rimasto seduto sulla sua scrivania, chiedendosi a cosa stesse pensando nel momento in cui ha accettato l’incarico lo scorso anno.

Nella lettera, il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis e il commissario dell’economia Pierre Moscovici puntualizzano la necessità per l’Italia di mantenere gli impegni presi nei trattati e in particolare si rifanno all’articolo 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Il suddetto articolo sentenzia che se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione.

Questa è per adesso l’azione dell’Europa: preparare una relazione sull’andamento economico dell’Italia in quanto Paese Membro per valutarne le politiche prossime. Tale relazione, inoltre, tiene conto anche dell’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro. Alla fine di tale relazione, l’Unione Europea valuta se il suddetto Stato Membro è passibile di procedura di infrazione, nella quale sarebbe limitato nelle sue scelte economiche e costantemente monitorato dagli organi di vigilanza per assicurare il rientro del debito.

Il 5 giugno la Commissione ha valutato giustificabile la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e ha deciso di rimettere al giudizio finale del Consiglio di Economia e Finanza (ECOFIN) la decisione sull’eventuale procedura di infrazione. La discussione avrà la sua soluzione nella sessione dell’8 e 9 luglio, quando si deciderà se effettivamente tale procedura avrà luogo. Il dossier è dunque passato ai singoli rappresentanti dei governi degli Stati Membri che decideranno il futuro della terza potenza economica europea. Tale procedura non è mai stata avviata e l’iter sarebbe di circa 2-3 anni, nei quali il Paese attraverserebbe varie fasi con l’obiettivo di ridurre il suo deficit e rientrare nei parametri europei.

Le misure sarebbero molto più stringenti e riguarderebbero sia tempistiche che modalità degli interventi, con grave rischio di una maggiore tassazione e dei tagli a politiche sociali, fino ad un taglio dei fondi strutturali europei. Fondi che al momento consistono in un grande apporto all’economia italiana.

Ora il punto è che la lettera è arrivata ma non è chiaro se sia stata effettivamente compresa.

Di Maio utilizza la carta E allora il PD?” e rigetta sul Partito Democratico la colpa dell’eccessivo debito. “Quota 100 e pensioni d’oro non si toccano” (Zingaretti non ci sta e rilancia “Questo è un capolavoro del governo”, in un improvviso e sorprendente slancio di amor proprio).

Salvini rimane fermo sull’idea dell’Europa da rivedere e sulla flat tax: “L’unico modo per ridurre il debito creato in passato è tagliare le tasse (Flat Tax) e permettere agli Italiani di lavorare di più e meglio”. La speranza risiede nell’intervento dei Sovranisti a cambiarne le regole, sebbene probabilmente saranno proprio quelle forze sovraniste a supportare la procedura d’infrazione, così come fatto in precedenza dal leader ungherese Orban.

Non si capisce esattamente se Di Maio e Salvini stiano parlando della stessa cosa. La lettera è sbagliata perché si riferisce al PD e quindi il Governo gialloverde è salvo oppure si riferisce al Governo gialloverde e quindi l’Europa sbaglia perché critica le scelte del governo?

Probabilmente il problema risiede nell’incapacità di capire cosa effettivamente sia richiesto dalla Commissione Europea o nella volontà di ignorare volontariamente qualsiasi altro punto di vista. Sembra effettivamente di dialogare con un grave caso di analfabetismo funzionale a livello governativo.

Sono sicuro che a Bruxelles rispetteranno questa volontà”.

Ecco, qui sta il punto: Bruxelles probabilmente non è d’accordo su nessuno dei punti del governo. Difficile credere che la lettera della Commissione si riferisca al debito del governo precedente, come se la lettera fosse una cartolina perduta tra servizi postali e pervenuta solo tempo dopo. Non avrebbe senso far partire una procedura d’infrazione sulle politiche di questo governo se fossero considerate positive dall’Unione. Per adesso alla Commissione Europea serve capire l’intenzione dell’Italia sul suo stato economico, dal momento che per un Paese con un tale disavanzo l’idea di adottare politiche di taglio delle tasse e spesa pubblica sulle pensioni non risulta il metodo più efficace per ridurre il debito.

La speranza è trovare un punto di compromesso  tra Italia e Commissione per evitare pesanti sanzioni che potrebbero in qualche modo peggiorare la situazione italiana che, a quel punto, non avrebbe più modo di scegliere autonomamente come ha fatto sin’ora la propria politica. Perché sì, di libertà ne ha avuta per circa vent’anni di Berlusconismo e di indebitamento spropositato di cui, stranamente, nessuno ricorda nulla.

Ma chi probabilmente soffre davvero in tutto ciò rimane il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ci ha provato ma non sembra aver ottenuto i risultati sperati. Ha indetto anche una conferenza Lunedì per provare a rimettere insieme i pezzi di un governo che ogni volta che apre bocca riesce a far salire lo spread di un’infinità di punti e sembra ostacolare ogni suo sforzo di pacificazione con l’Unione.

Intanto lui vola a Bruxelles, verso incontri istituzionali, con Tria accanto e lo sguardo perso nei sogni sul finestrino, chiedendosi di tanto in tanto se ci sia tanta differenza tra lo stipendio del Presidente del Consiglio e quello dell’allenatore della Roma.

Matteo Caruso


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