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La Strillettera Europea: procedure d’infrazione fantastiche e dove trovarle

Secondo il Human Development Report OCSE del 2009, circa il 47% degli italiani sono considerabili analfabeti funzionali, cioè non sono in grado di leggere e comprendere un testo in maniera appunto funzionale, privi di qualsiasi approccio critico e capacità di analisi del testo. Fintanto che le persone non sanno leggere gli orari dell’autobus o utilizzare un computer i danni, seppur presenti, risultano limitati.

La grande problematicità dell’analfabetismo funzionale emerge qualora si debba poi decifrare una notizia di rilevanza politica a ridosso delle elezioni. Senza spirito critico dell’informazione e una capacità di piena comprensione, la possibilità di essere tratto in inganno e in errore è molto più alta.

Peggio sarebbe se casi di analfabetismo funzionale si trovassero al governo o ai vertici di potere.

“Tutti gli ultimi anni, con la cura Monti, la cura Letta, la cura Renzi, la cura Gentiloni, la cura dei tagli e delle chiusure, dimostrano l’esatto contrario: il debito è cresciuto. Noi vogliamo fare quello che gli italiani ci chiedono di fare, ridurre le tasse

(Matteo Salvini a Otto e mezzo, 5 giugno 2019)

Nel 2017 l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche (-39.691 milioni di euro) è stato pari al 2,3% del Pil, in diminuzione di circa 1,9 miliardi rispetto al 2016 (-41.638 milioni di euro, corrispondente al 2,5% del Pil)”

(Dati ISTAT)

E le cifre sono queste: nel 2018 il debito è stato pari al 132,2%, rispetto al 131,4% del 2017, nel 2019 si attesterà al 133,7% e nel 2020 raggiungerà il 135,2%.”

(Il Sole24ore)

Il 29 maggio 2019 sulla scrivania del Ministro dell’Economia Giovanni Tria si è presentata una lettera molto dura da parte della Commissione Europea. Da molti nel mondo di Harry Potter potrebbe essere definita quasi una strillettera che sostengono avesse più o meno questa intenzione:

“Giovanni Tria! Come hai osato infrangere le regole sul disavanzo? Siamo veramente disgustati. Ora in Europa l’Italia sarà sottoposta ad un’inchiesta e sarà tutta colpa tua. Se farai un altro passo falso noi ti riporteremo la Troika a casa.”

Probabilmente non è esattamente così che il Ministro l’ha analizzata, anche se è plausibile che egli al momento della consegna della lettera sia rimasto seduto sulla sua scrivania, chiedendosi a cosa stesse pensando nel momento in cui ha accettato l’incarico lo scorso anno.

Nella lettera, il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis e il commissario dell’economia Pierre Moscovici puntualizzano la necessità per l’Italia di mantenere gli impegni presi nei trattati e in particolare si rifanno all’articolo 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Il suddetto articolo sentenzia che se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione.

Questa è per adesso l’azione dell’Europa: preparare una relazione sull’andamento economico dell’Italia in quanto Paese Membro per valutarne le politiche prossime. Tale relazione, inoltre, tiene conto anche dell’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro. Alla fine di tale relazione, l’Unione Europea valuta se il suddetto Stato Membro è passibile di procedura di infrazione, nella quale sarebbe limitato nelle sue scelte economiche e costantemente monitorato dagli organi di vigilanza per assicurare il rientro del debito.

Il 5 giugno la Commissione ha valutato giustificabile la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e ha deciso di rimettere al giudizio finale del Consiglio di Economia e Finanza (ECOFIN) la decisione sull’eventuale procedura di infrazione. La discussione avrà la sua soluzione nella sessione dell’8 e 9 luglio, quando si deciderà se effettivamente tale procedura avrà luogo. Il dossier è dunque passato ai singoli rappresentanti dei governi degli Stati Membri che decideranno il futuro della terza potenza economica europea. Tale procedura non è mai stata avviata e l’iter sarebbe di circa 2-3 anni, nei quali il Paese attraverserebbe varie fasi con l’obiettivo di ridurre il suo deficit e rientrare nei parametri europei.

Le misure sarebbero molto più stringenti e riguarderebbero sia tempistiche che modalità degli interventi, con grave rischio di una maggiore tassazione e dei tagli a politiche sociali, fino ad un taglio dei fondi strutturali europei. Fondi che al momento consistono in un grande apporto all’economia italiana.

Ora il punto è che la lettera è arrivata ma non è chiaro se sia stata effettivamente compresa.

Di Maio utilizza la carta E allora il PD?” e rigetta sul Partito Democratico la colpa dell’eccessivo debito. “Quota 100 e pensioni d’oro non si toccano” (Zingaretti non ci sta e rilancia “Questo è un capolavoro del governo”, in un improvviso e sorprendente slancio di amor proprio).

Salvini rimane fermo sull’idea dell’Europa da rivedere e sulla flat tax: “L’unico modo per ridurre il debito creato in passato è tagliare le tasse (Flat Tax) e permettere agli Italiani di lavorare di più e meglio”. La speranza risiede nell’intervento dei Sovranisti a cambiarne le regole, sebbene probabilmente saranno proprio quelle forze sovraniste a supportare la procedura d’infrazione, così come fatto in precedenza dal leader ungherese Orban.

Non si capisce esattamente se Di Maio e Salvini stiano parlando della stessa cosa. La lettera è sbagliata perché si riferisce al PD e quindi il Governo gialloverde è salvo oppure si riferisce al Governo gialloverde e quindi l’Europa sbaglia perché critica le scelte del governo?

Probabilmente il problema risiede nell’incapacità di capire cosa effettivamente sia richiesto dalla Commissione Europea o nella volontà di ignorare volontariamente qualsiasi altro punto di vista. Sembra effettivamente di dialogare con un grave caso di analfabetismo funzionale a livello governativo.

Sono sicuro che a Bruxelles rispetteranno questa volontà”.

Ecco, qui sta il punto: Bruxelles probabilmente non è d’accordo su nessuno dei punti del governo. Difficile credere che la lettera della Commissione si riferisca al debito del governo precedente, come se la lettera fosse una cartolina perduta tra servizi postali e pervenuta solo tempo dopo. Non avrebbe senso far partire una procedura d’infrazione sulle politiche di questo governo se fossero considerate positive dall’Unione. Per adesso alla Commissione Europea serve capire l’intenzione dell’Italia sul suo stato economico, dal momento che per un Paese con un tale disavanzo l’idea di adottare politiche di taglio delle tasse e spesa pubblica sulle pensioni non risulta il metodo più efficace per ridurre il debito.

La speranza è trovare un punto di compromesso  tra Italia e Commissione per evitare pesanti sanzioni che potrebbero in qualche modo peggiorare la situazione italiana che, a quel punto, non avrebbe più modo di scegliere autonomamente come ha fatto sin’ora la propria politica. Perché sì, di libertà ne ha avuta per circa vent’anni di Berlusconismo e di indebitamento spropositato di cui, stranamente, nessuno ricorda nulla.

Ma chi probabilmente soffre davvero in tutto ciò rimane il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ci ha provato ma non sembra aver ottenuto i risultati sperati. Ha indetto anche una conferenza Lunedì per provare a rimettere insieme i pezzi di un governo che ogni volta che apre bocca riesce a far salire lo spread di un’infinità di punti e sembra ostacolare ogni suo sforzo di pacificazione con l’Unione.

Intanto lui vola a Bruxelles, verso incontri istituzionali, con Tria accanto e lo sguardo perso nei sogni sul finestrino, chiedendosi di tanto in tanto se ci sia tanta differenza tra lo stipendio del Presidente del Consiglio e quello dell’allenatore della Roma.

Matteo Caruso


Sitografia:

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28 sfumature di Verde

Con l’eco della voce di Mentana ancora nelle orecchie dei maratoneti di Domenica notte, gli scrutatori che a tutt’oggi chiedono il documento d’identità alla gente quando passano per strada e il Lunedì di riposo di molte scuole e università, si sono concluse anche queste elezioni europee del 2019. Con l’avvento dei populismi, dei sovranisti, del cambiamento climatico e della Brexit certamente non si può dire non ci sia stato un forte interesse da parte dell’elettorato europeo. Infatti il primo dato veramente importante è quello dell’affluenza: più del 50% dei cittadini europei aventi diritto al voto si sono recati alle urne, invertendo il trend negativo che dal 1979 ha visto costantemente scendere il numero di votanti. Continua a leggere

Il Trono di Spread – Cronache di Europa e di Stati

Dopo ben 8 anni dall’uscita della prima puntata del Trono di Spade sull’emittente televisiva americana HBO, anche quest’avventura è arrivata a conclusione. Il finale, sebbene la serie TV abbia avuto un distacco dai romanzi dell’autore George R.R. Martin a partire dalla sesta stagione, è quello che lo scrittore statunitense ha in mente come conclusione per la sua opera di stampo tolkeniano, Il Trono di Spade – Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (Game of Thrones – A Song of Ice and Fire).

Ciò che ha colpito maggiormente gli appassionati dei libri e della storia in generale, arrivando a livelli da record di audience, risiede nella strutturazione articolata del mondo dei Sette Regni di Westeros, dove Martin è stato sapiente nel dipingere i propri personaggi con sfumature reali, evitando e ripudiando una delineazione netta tra buoni e cattivi, tipica invece dei romanzi fantasy quali Il Signore degli Anelli; altra caratteristica è stata indubbiamente la presenza di diversi colpi di scena ben studiati, in una trama di intrighi politici e giochi di potere dove nessun personaggio, nemmeno se tra i protagonisti, sembra essere esente dalla minaccia della morte, in un ambiente che mantiene molte delle caratteristiche tipiche dei romanzi fantasy, quali magia, creature soprannaturali, e forti tratti di epicità narrativa.

Trattando di trame politiche autoritarie e Draghi non può certo non venire in mente l’Unione Europea.

A differenza dei Sette Regni, il Parlamento dell’Unione Europea è basato su un sistema di democrazia indiretta (Sam Tarly tossisce distrattamente n.d.r.) e ogni cinque anni i suoi cittadini sono chiamati al voto per eleggere i propri rappresentanti. I 751 Membri del Parlamento Europeo sono suddivisi in maniera proporzionale a seconda della popolazione di ciascun Stato Membro dell’Unione, in un sistema a ripartizione degressiva. Si passa da i sei rappresentanti del Lussemburgo ai novantasei della Germania, passando per i settantatre di Italia e Regno Unito.

Quasi tutti i partiti nazionali che portano avanti i propri candidati alle elezioni europee sono legati ad un gruppo parlamentare europeo nel quale confluiranno i candidati stessi, a seconda dell’ideologia di ciascuna fazione. Il Parlamento è dunque composto da gruppi di sinistra, di destra, più o meno centristi, liberali, populisti e, come ogni istituzione democratica che si rispetti, una piccola percentuale di verdi. Un po’ come i Regni di Westeros, ognuno con una sua ideologia diversa, in contrasto da anni, tutti sotto lo stesso tetto.

Ciò che però comporta spesso degli scetticismi è che, a differenza di molte strutture nazionali, il Parlamento non è l’unico organo con funzione legislativa. Accanto ad esso troviamo la Commissione Europea, il cui Presidente dal 2014 è il lussemburghese Jean-Claude Juncker. La Commissione è l’organo esecutivo politicamente indipendente dell’Unione Europea. Esso è composto da 28 membri, uno per Paese, il cui compito è assicurare l’applicazione della legislazione europea, proporre nuove leggi e definire le politiche europee assieme al Parlamento e al Consiglio dell’Unione Europea. Non avendo elezioni per la Commissione e il Consiglio, talvolta le decisioni finali dell’Unione sono accusate di essere eccessivamente distanti dalla volontà popolare, accusata di essere il regno dei tecnocrati. Del resto, anche ad Approdo del Re, Capitale di Westeros, le decisioni sono prese dal Concilio Ristretto del Re  composto di funzionari tecnici che decidono per tutto quanto il Paese.

Secondo gli exit poll per le prossime elezioni il gruppo di maggioranza dovrebbe essere the European People’s Party (EPP). Nel particolare parallelismo utilizzato in questa sede, gli EPP rappresentano quella che è la Casata Lannister. La visione è la destra conservatrice, dei Cristiani Democratici, di origini religiose oramai quasi del tutto perdute, europeista, il cui obiettivo è perlopiù preservare lo status quo, migliorando notevolmente la struttura del Regno (Unione) laddove possibile per accentrarne le funzioni e i poteri in un progressivo movimento verso il federalismo. Come maggiori esponenti troviamo Juncker, il Presidente della Commissione, e Antonio Tajani, Presidente del Parlamento. Al momento, detengono quello che è il ruolo preponderante nelle scelte dell’Unione Europea.

Juncker, come Cersei, è noto soprattutto per il suo alcolismo.

Dopo l’EPP, il secondo maggior gruppo europeo è quello della Progressive Alliance of Socialists & Democrats (S&D). L’ideologia politica racchiude quella dei maggiori partiti di centro-sinistra, anch’essa europeista, con l’idea di riformare l’Unione con un focus maggiore alle tutele per il mondo del lavoro e del mercato. Essi rappresentano in tutto e per tutto alla Casata Stark. Fintanto che l’alleanza con l’EPP o Lannister resiste, essi possono contribuire pacificamente al delineamento delle politiche europee tramite il compromesso, sebbene leggermente in una posizione inferiore rispetto agli alleati di centro destra e con visioni talvolta diametralmente opposte. Ultimamente hanno perso molto supporto nei vari Paesi Membri sebbene ci sia ancora una buona parte della popolazione che sostenga questa visione.

Laddove dovesse venire a mancare una coesione di queste due entità politiche, le forze di opposizione anti-europeiste avrebbero sicuramente terreno fertile per colpire al cuore dell’Unione.

Fino ad ora, al terzo posto abbiamo trovato the Alliance of Liberals and Democrats for Europe (ALDE). Essi rappresentano l’ala europeista più forte. Estremamente radicali, la loro idea è quella degli Stati Uniti d’Europa, in una visione nella quale l’Unione Europea assume pienamente la forma di federazione con i suoi 28 stati federali. Dal punto di vista economico, il liberismo è alla base del gruppo, dove il mercato e il privato sono al centro del sistema. Daenerys Targaryen può essere vista come il maggior rappresentante della visione di accentramento dei poteri. L’idea è quella di cambiare totalmente l’intero sistema per dare in mano all’Unione Europea il potere centrale per le politiche economiche e sociali (to break the wheel). L’Unione Europea è il bene assoluto e solo tramite essa è possibile sconfiggere il populismo dilagante e le minacce internazionali.

Una possibile alleanza dei Targaryen (ALDE) e Stark (S&D) permetterebbe indubbiamente un cambio di rotta delle politiche europee ma i contrasti ideologici sarebbero sicuramente da subito evidenti.

Finora abbiamo visto le forze istituzionali, europeiste, che mirano ad una riforma del sistema in virtù dei valori europei sanciti dai vari trattati storici. Ma negli ultimi anni si è sviluppata una nuova ideologia che ne minaccia le basi. Come gli Estranei, le correnti populiste hanno gradualmente assunto maggior potere in ogni Stato Membro. Cresce dunque negli exit poll il sostegno per il gruppo Europe of Nations and Freedom (ENF). Esso rappresenta la maggior forza di euroscettici, fermamente convinti della sovranità dei singoli Stati, pronti a tutto per delegittimare il potere dell’Unione Europea. Non appartengono propriamente all’establishment e si sviluppano come forze reazionarie contro le istituzioni politiche storiche. Gli Estranei Populisti aumentano rapidamente i propri numeri, chiamando a sé coloro che si sono sentiti traditi e abbandonati dai precedenti gruppi di sinistra e destra. I primi ad esserne minacciati sono Daenerys (ALDE) e Stark (S&D) sebbene essi rappresentino un pericolo anche per gli altri gruppi.

Poi ci sono i Verdi. Nel caso qualcuno se lo chiedesse, Jon Snow rappresenta i Verdi.

Nello specifico, rappresenta Pippo Civati.

Naturalmente, a Westeros non ci sono elezioni democratiche (scusa Sam), le decisioni vengono prese autonomamente dal regnante che detiene tutto il controllo sulla popolazione. Una monarchia, dove nessuno ha potere di decisione oltre le alte cariche di potere. Per fortuna in Europa possiamo votare per decidere chi ci rappresenterà, per stabilire chi sarà in grado di produrre le leggi e le politiche comunitarie che ci hanno così unito in tutti questi anni e ci hanno dato così tanto. Ci hanno permesso di viaggiare, di lavorare in libertà, di trovare ideali comuni al di là di barriere linguistiche e di diverse culture. Non dimentichiamolo.

Domenica 19 maggio è finito Il Trono di Spade.

Domenica 26 maggio speriamo non finisca l’Unione Europea.

Noi, nel dubbio, siamo preparati.

Winter is coming

Matteo Caruso


Sitografia:

https://tvbythenumbers.zap2it.com/sdsdskdh279882992z1/sunday-cable-ratings-nba-storage-wars-ax-men-khloe-lamar-the-killing-breakout-kings-sam-axe-game-of-thrones-much-more/89980/

https://ig.ft.com/european-parliament-election-polls/

http://www.europarl.europa.eu/meps/en/home

Voto per l’Europa

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Le elezioni europee non eccitano molte persone. L’ultima volta, nel 2014, solo il 42% di coloro che avevano diritto al voto sono andati alle urne per l’UE e tra i minori di 24 anni è stato un abissale 28%. Ma le elezioni di quest’anno potrebbero essere troppo importanti per tirarsene fuori. Mentre l’agenda delle news europee è stata offuscata dalla Brexit per mesi (e potrebbe continuare ad esserlo, poiché il Regno Unito si prepara a partecipare alle elezioni a cui non ha mai voluto partecipare), il progetto europeo ha affrontato un gran numero di sfide dall’esterno – occupandosi di immigrazione, riscaldamento globale, un collasso dell’ordine mondiale – e un’esistenziale minaccia dall’interno: l’incremento di coloro che vogliono fare a pezzi più di sessant’anni di integrazione europea e ballare sulle sue rovine. Se ci fosse mai un tempo in cui il voto di ognuno conta, è ora.

I nemici dell’Europa sono uniti

Da un certo numero di anni, la crescita del populismo di destra si è potuta osservare lungo tutta l’Europa – il Raggruppamento Nazionale in Francia (precedentemente il Front), l’AfD tedesco, la Lega italiana. I loro livelli di supporto sono cambiati, come il loro radicalismo, ma hanno ampiamente perseguito la stessa agenda: anti-immigrazione, anti-UE, nazionalista, frequentemente islamofoba e socialmente conservatrice. Ma mentre uno potrebbe quasi rassegnarsi al fatto che tali ottusi chiacchieroni sono ora parte del panorama politico europeo, le più recenti evoluzioni sono state più allarmanti. In numerosi paesi europei l’estrema destra sta ora governando (da sola o in coalizione). In Italia e in Austria le coalizioni che includono partiti di destra hanno mostrato che intendono proprio ciò che dicono – nel caso dell’Italia è semplificato da drammi quasi settimanali che coinvolgono navi di soccorso per rifugiati a cui viene cancellato il permesso di attraccare e rimangono bloccate in mezzo al mare per giorni, veri esseri umani usati come pedine o merce di scambio. In Ungheria e in Polonia i governi di destra sono occupati a smantellare le fragili istituzioni della democrazia e della società civile che si sono sviluppati a partire dalla fine del comunismo tre decenni fa. A partire da quest’anno, la Spagna, precedentemente pensata immune al fascino della destra dopo decenni di dittatura di Franco, ancora una volta ha la destra nella politica nazionale: il partito Vox. E la cosa forse più preoccupante di tutte: i nemici dell’Europa sono tutti sul punto di cooperare attraverso i confini.

Godendo pienamente dei diritti di libera circolazione che l’UE offre loro, l’austriaco Heinz-Christian Strache vola a Budapest per incontrare il suo amico Viktor Orban, Joerg Meuthen dell’AfD visita il suo compare Matteo Salvini a Milano, e Marine Le Pen ha trovato il tempo di vedere Santiago Abascal, ora leader dei 24 parlamentari di Vox nel Congresso dei Deputati di Spagna, quando era a Perpignan nel 2017. Con i nemici dell’unità europea così coordinati e integrati, coloro che pensano il futuro non possa essere un ritorno alla chiusura mentale e al nazionalismo devono essere altrettanto forti insieme.

E ce ne sono di cose per cui valga la pena combattere. La seconda guerra mondiale è finita 74 anni fa, ma la pace non è ancora scontata: anzi, si dice spesso che l’Europa è libera dalla guerra dal 1945, ma non è vero: negli anni ’90, i problemi nell’Irlanda del Nord costarono circa 3000 vite. Il bilancio delle vittime della sanguinoso crollo della Jugoslavia negli anni ’90 è di oltre centomila, spinto dalle stesse forze del nazionalismo e dell’odio che il progetto europeo cerca di superare. E negli ultimi cinque anni, l’Ucraina ha pagato un prezzo elevato per l’aggressione della vicina Russia.

Niente di tutto questo significa che il progetto europeo sia fallito – si trattava di conflitti ai margini dell’Europa, dove la portata del progetto europeo in via di sviluppo era limitata, mentre le nazioni dell’Europa centrale che hanno combattuto le raccapriccianti guerre della prima metà del 20° secolo e prima – Francia e Germania, per esempio – sono state unite nell’amicizia e nella cooperazione dopo il 1945. Ciò che mostra, invece, è che la pace è fragile e non garantita. Lo stesso vale per il crescente numero di benefici che i cittadini europei hanno accumulato nel corso dei decenni: i diritti di viaggiare, vivere, lavorare, studiare e stabilirsi in un intero continente. La libertà di notare a malapena quando si attraversa un confine – quando un confine in passato potrebbe aver assistito a giovani uomini uccidersi a vicenda in trincee un secolo fa, o forse uno che trent’anni fa era chiuso con muri, recinti e guardie armate. Rispetto al resto del mondo – anzi, ai vicini europei che non sono ancora membri dell’Unione – questo è un privilegio che i cittadini dell’UE ora acquisiscono per diritto di nascita. Il rischio è diventare compiacenti di ciò che abbiamo.

Niente di tutto questo significa, naturalmente, che tutto ciò che riguarda lo stato attuale dell’Unione sia perfetto. Il basso entusiasmo per la partecipazione alla politica europea può essere attribuito al fatto che Bruxelles è una grande guastafeste: il burocratismo e le regole del mercato unico non sono né ciò che accende le passioni della gente, né l’Europa alla base. C’è molto spazio per delle critiche graduali dell’attuale modello di integrazione europea. Se il progetto di un’unione sempre più forte deve essere continuato, a un certo punto inevitabilmente significherà che gli Stati membri più ricchi si impegneranno a sostenere i meno fortunati in modo serio – la solidarietà non può finire ai propri confini nazionali. Allo stesso modo, un’Unione non può promuovere il suo impegno per i diritti umani e fregiarsi del proprio Premio Nobel per la pace del 2012 mentre le persone annegano nel Mediterraneo – o mentre sta incanalando denaro in Libia, dove migliaia di migranti sono tenuti nei campi di detenzione sotto le più terribili condizioni, soggette a brutali abusi e sfruttamento, completamente prive di diritti e ora coinvolte nel recente conflitto (uno scandalo così deprimente dovrebbe essere all’ordine del giorno di tutti coloro che professano di aderire ai valori più amati dell’Europa). Le cose devono cambiare. Ma non resterà nulla da riformare se lasceremo che i nemici dell’Europa distruggano questo progetto unico. L’Europa ci ha dato la pace, ci ha dato libertà e diritti e un forum per la cooperazione, l’unico modo per affrontare le sfide su vasta scala del futuro, come i cambiamenti climatici. In un mondo instabile, con un partner transatlantico su cui non possiamo più fare affidamento, una Russia sempre più aggressiva e conflitti irrisolti in Medio Oriente, l’Europa è la nostra migliore scommessa. Difendiamola e poi miglioriamola. Per fare il primo passo in questa direzione, votiamo in queste elezioni. Il cento per cento della nostra generazione vivrà in questo futuro, quindi forse più del ventotto dovrebbe uscire e plasmarlo.

David Zuther
Traduzione di Martina Moscogiuri e Claudio Antonio De Angelis

La Rivoluzione sotto le Ruote

Purtroppo, da ormai qualche anno, siamo abituati a sentire e vedere storie di cruda violenza a livello internazionale. Le stragi di Strasburgo, Parigi, Berlino, Barcellona hanno scosso il cuore di europei ed extra comunitari per gli attacchi messi in atto da organizzazioni terroristiche o da singoli individui, spesso con una matrice di guerra religiosa. Sulla famosa strada La Rambla di Barcellona, al Christmas Market di Berlino, nel cuore di Strasburgo singoli individui sono stati uccisi da estremisti portatori di un messaggio di odio e terrore alla guida di camion e furgoni, volontariamente investendo dei civili con una sentenza di morte in nome di una fantomatica guerra all’Occidente. Sono storie recenti che rimangono impresse, che fanno paura ma che ci uniscono contro l’odio dell’estremismo. Singoli fanatici che devono essere isolati e fermati. Abbiamo dalla nostra la solidità di intere istituzioni e la cooperazione tra i governi. Comprendiamo il dolore della perdita ma reagiamo ed andiamo avanti, sappiamo essere più forti dei singoli estremisti.

Cosa succede però quando è proprio il governo stesso a guidare dei camion sopra i cittadini in rivolta? Questa è purtroppo una domanda che in Venezuela si stanno facendo in molti e che richiede delle risposte amare e non sempre soddisfacenti.

Il Venezuela sta affrontando una delle più intense crisi interne che il Paese abbia mai visto: dopo le elezioni di gennaio, lo storico Presidente Nicolas Maduro è stato politicamente fronteggiato da Juan Guaidó, capo dell’opposizione autoproclamatosi ad interim Presidente del Venezuela contro gli abusi di potere del dittatore, succeduto al regime di Hugo Chavez, accusato di aver vinto le elezioni del 2018 in maniera fraudolenta e con metodi dittatoriali. “È mio dovere chiamare libere elezioni perché c’è un evidente abuso di potere e le persone in Venezuela vivono in una dittatura” ha dichiarato Mr. Guaidó. Una forte crisi ha colpito l’economia venezuelana negli ultimi anni, portando il Paese ad un’iperinflazione e un crollo della valuta di proporzioni storiche. La dittatura di Maduro ha fronteggiato diversi disordini negli anni passati, soprattutto per quanto riguarda l’opposizione americana al regime. La situazione di disagio del popolo venezuelano è andata crescendo fino al colpo di Stato dell’opposizione di Guaidó che, se da un lato ha portato alla luce le richieste della popolazione in difficoltà, dall’altro ha aggravato notevolmente lo stato del Paese.

La presenza di due diversi premier all’interno del Venezuela ha infatti dato spazio ad opportunità di schierarsi da un lato o dall’altro per fini meramente relativi ai giochi di potere tra le Grandi Potenze. Il governo americano supporta incessantemente il governo di Guaidó contro la dittatura di Maduro e i suoi crimini mentre la Russia, d’altro canto, sostiene fortemente quest’ultimo per poter consolidare la propria influenza contro quella americana tramite il sostegno del dittatore. Molti Paesi europei si sono schierati con il rivoluzionario Guaidó, assieme al Presidente del Brasile Jair Bolsonaro. Gli alleati di Maduro nella regione, Cuba e Bolivia, hanno pubblicamente condannato il colpo di Stato. I disordini interni hanno da mesi subito una crescita vertiginosa mentre le condizioni dei cittadini venezuelani è arrivata a livelli allarmanti, con cittadini inabili a procurarsi del semplice pane per il proprio sostentamento.

La situazione pareva fosse arrivata a un momento di distensione nelle ultime settimane. Nella giornata di ieri però, il Presidente sovversivo Juan Guaidó ha lanciato un messaggio online tramite un video nel quale invitava i cittadini a dimostrare scendendo in piazza, che il Paese è pronto ad un cambiamento e che i cittadini sono volenterosi di una svolta che ponga fine a quest’incertezza. “Il tempo è adesso. Stiamo per ottenere libertà e democrazia in Venezuela”. Nel video, il Presidente è circondato da dozzine di soldati uniti alla causa. Non si conoscono bene i numeri, ma centinaia di manifestanti si sono presentati davanti la base aerea dove hanno avuto uno scontro a fuoco con i soldati dell’esercito di Maduro.

In quest’occasione, con altri manifestanti per le strade della capitale Caracas, veicoli blindati militari del governo reggente sono stati filmati muoversi verso i cittadini, visibilmente con lo scopo di investire i manifestanti, gravemente ferendone decine, reprimendo la rivolta nel più cruento dei modi: con la violenza deliberata verso gli oppositori del regime. Al momento, il centro medico vicino ai luoghi del conflitto civile ha riportato 50 persone in cura per ferite da proiettili di gomma. Oltre a Caracas, le proteste si sono accese e sparse per altre città del Paese tra cui Valencia, Puerto Ordaz e Barquisimeto. Uno dei maggiori alleati dell’opposizione Leopoldo Lopez ha intanto trovato rifugio nell’ambasciata cilena in Venezuela contro la persecuzione da parte del regime.

In questo momento, il Venezuela sta effettivamente sperimentando sulla pelle dei suoi cittadini gli effetti di una dittatura prolungata e la conseguente Guerra Civile che ne è scaturita. Il vicepresidente della Casa Bianca Mike Pence sostiene la rivoluzione assieme al Segretario di Stato Mike Pompeo; il Presidente Turco Erdogan condanna il colpo di stato, a suo modo di vedere perpetrato per conto degli Stati Uniti; l’Unione Europea, tramite il suo Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, richiede una pacifica soluzione del conflitto. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres invita gli attori coinvolti a cessare le ostilità per trovare una soluzione pacifica alla crisi. La comunità internazionale non appare in grado di fronteggiare esternamente una situazione politica così delicata e la poltrona da spettatore inerme appare l’unica soluzione adottata da molte parti.

Per anni i cittadini hanno subito una condizione di grave disagio, dove l’inflazione ha reso impossibile l’acquisto anche di beni primari, quali pane e carta igienica, e i diritti umani sono stati troppo spesso calpestati dal regime. Dopo tanto tempo, la soluzione politica è rappresentata dal colpo di Stato di gennaio da parte dell’opposizione, che ha racchiuso in sé la rabbia e la frustrazione di un popolo sofferente da troppo tempo. Ciò nonostante, la situazione non pare propendere ad una soluzione immediata e la violenza raggiunta da entrambe le fazioni fa presagire un’escalation di disordini in continua crescita. Si attende di capire quale parte riuscirà a prevalere sull’altra e se le istituzioni internazionali riusciranno ad avere un ruolo decisivo per la soluzione del conflitto. Per adesso il popolo venezuelano si ritrova con la propria rivoluzione sotto le ruote dei veicoli militari e i colpi del proiettili sui manifestanti in rivolta, con la speranza di una stabilità politica, economica, e sociale che appare ancora più lontana.

Matteo Caruso


Sitografia: