“Il nostro più gran tormento nella vita proviene dal fatto che siamo soli e tutte le nostre azioni e i nostri sforzi tendono a farci fuggire da questa solitudine.” Così si esprimeva Maupassant, celebre autore francese, a proposito della vita, e in particolare della sua vita: scapolo incallito, il suo legame morboso con la madre, Laure de Maupassant, lo allontanò da qualsiasi storia d’amore a lungo termine, e quindi dal matrimonio, che considerava come “uno scambio di cattivi umori di giorno e di cattivi odori di notte.”
Ai legami più seri, lo scrittore preferì sempre le scappatelle di qualche notte, proprio come il protagonista del suo romanzo più importante, Bel-ami, un borghese donnaiolo che illude le sue amanti. Se infatti è celeberrima l’affermazione di Flaubert, padre intellettuale del naturalista, “Madame Bovary, c’est moi!”, lo è meno quella di Maupassant “Bel-ami, c’est moi!”.
Questa la vita di Maupassant: una vita all’ombra di sua madre, donna dal carattere forte e autoritario, che lega a sé il figlio prediletto, e di Flaubert, autore di gran lunga più affermato nei salotti e nella vita letteraria europea verso cui il nostro normanno si sentì sempre inferiore. Eppure, la sua carriera fu di tutto rispetto: fra il 1880 e il 1890 scrisse infatti trecento racconti, sei romanzi, e numerose opere minori: si tratta di un universo in espansione, capace di interpretare ogni aspetto della psicologia umana, ogni sua deviazione o capriccio, guardando interamente all’unico rapporto che stava a cuore all’autore, ossia l’analisi dei fatti nudi e crudi della vita.
Riguardo alle sue trecento novelle, Carlo Bo, critico letterario nonché politico italiano, sostiene che «[…]possono essere lette come un unico memoriale umano, la storia di una società, ma tutto senza strutture ambiziose o fini prefissati: Maupassant non aveva tesi da dimostrare, gli bastava raccontare». E, in effetti, raccontò di tutto: storie di contadini, pescatori, meretrici, nobili, bambini, vecchi, preti e decine di altri personaggi appartenenti a tutte le classi sociali.
Nella sua opera emergono elementi che allo stesso tempo lo avvicinano e lo allontanano dal naturalismo: se da un lato sceglie il racconto che, con la sua forma breve e concisa, evita gli sviluppi eccezionali di un intrigo ben congegnato, dall’altro, a differenza di Zola – scrittore, saggista e critico letterario – prende il mondo così com’è, senza pretendere di spiegare nulla, con disincanto nei confronti della scienza e della documentazione preliminare alla stesura dell’opera, tanto cara a Zola come a Flaubert per dare ai loro testi la tanto agognata vraisemblance.
Per quanto riguarda i suoi racconti, Maupassant inizia spesso in sordina, giocando con tonalità di pastello, tra avvenimenti e circostanze comuni a quelle in cui si trova quotidianamente qualsiasi lettore, generalizzando sulle condizioni in cui gli sembra che si svolga la vita ed evitando quindi qualsiasi annotazione relativa all’intimo dei personaggi, seguendo gli insegnamenti del maestro Flaubert: «Nous autres nous ne devons pas exister, nos oeuvres seules existent». Ma Maupassant esiste eccome, non riesce ad allontanarsi dai suoi personaggi tanto quanto i maestri realisti e naturalisti vorrebbero, perché Maupassant proprio non ce la fa ad etichettare i suoi lavori come “realisti” o “naturalisti”, sono semplicemente “veri”, rappresentano noi e i sentimenti che proviamo, messi su carta senza alcuna censura. Leggere per credere.
Bibliografia:
Carlo Bo. Tratto da “Guy de Maupassant e il suo tempo”, a cura di A. Fumagalli, Bolis, 1989
Lucio Chiavarelli, I racconti di Maupassant, 1995, pp.16-17