Nella Piazza Grande di Zingaretti

Venerdì 14 giugno il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha presentato nell’unica tappa romana il suo ultimo libro, “Piazza Grande”. Con lui, nella Libreria Nuova Europa – I Granai, c’era lo scrittore Gianrico Carofiglio. Sotto forma di dialogo tra i due si è svolta la presentazione, che seppur di breve durata, è stata ricchissima di tematiche: dallo scandalo che ha investito il CSM al “primo governo nazionalpopulista dell’Europa occidentale”, passando tra il tema della leadership, i paletti del nuovo PD, la cultura e il ruolo degli amministratori.

Proprio da quest’ultimo tema si parte, in quanto – come fa notare Carofiglio – nello scorso week-end si sono chiusi gli ultimi ballottaggi, e il Partito Democratico è riuscito a tener botta grazie soprattutto al lavoro delle amministrazioni locali, delle quali è necessario “recuperare e valorizzare l’orgoglio.”

Quale persona migliore di Zingaretti per fare questo discorso? Scrivere il libro e fare il segretario del PD nascono entrambi proprio perché sollecitati ogni giorno dalle vite delle persone conosciute come amministratore. Quest’esperienza gli ha suggerito di provare a ricreare grandissime coalizioni al centro delle quali si ponga il PD, in quanto “le cose cambiano quando la politica si rimette in discussione e ricrea le piazze grandi.”

La principale differenza rispetto a 80 giorni fa, dall’inizio del suo mandato come segretario, è nelle emozioni dell’elettorato: se prima c’era solo rabbia, adesso c’è anche la voglia di combattere, perché “non siamo destinati a vivere in questo eterno presente, se ci muoviamo tutti le cose cambiano.”

Per Carofiglio i processi sono nella prima fase, però già ben visibili: il fatto che l’unica presentazione romana del libro di Zingaretti sia in una libreria di periferia è già un buon segno. La politica si fa se si ha la voglia di farla con l’entusiasmo di cambiare il mondo, invece si è smesso di interessarsi alle periferie, non solo quelle fisiche, ma anche le periferie morali, popolate da tutte quelle persone lasciate sole in quanto non interessanti a fini elettorali.

In un dialogo che sembrava destinato a dispiegarsi nell’ambito della massima concordanza possibile si inserisce poi un’elemento di critica: se da una parte nella precedente segreteria si era rinunciato ad accogliere le differenze e il dibattito mediante una pletora di figure sempre disposte a dire sì, “non si può rinunciare all’idea di un leader fortemente visibile.”

Zingaretti incassa ma non tentenna: “bisogna trovare un punto di mediazione sulla figura del leader.” Nella sua visione un leader deve innanzitutto “unire tutto ciò che è frammentato, trovare una sintesi, ricostruire una critica che possa sconfiggere le destre italiane.”

“Bisogna ricostruire un vocabolario che più che a Salvini parli a chi è catturato dal suo messaggio”, prosegue il segretario del PD. E questo vocabolario si sta pian piano ricreando, considerando che “eravamo sconfitti, umiliati e terzi”, mentre adesso si sta di nuovo formando una situazione composta di due poli, uno rappresentato dalle destre e uno che ha al centro il Partito Democratico.

La celebre pacatezza di Zingaretti lascia il passo a una determinata risolutezza quando elenca  tre temi sui quali deve proseguire la lotta:

  • Ambiente
  • Scuola, formazione e ricerca
  • Lavoro

“Basta con il diritto allo studio e con l’obbligo scolastico come lo abbiamo conosciuto”, s’infiamma. Bisogna investire per non far pagare niente “dall’asilo nido alla tesi di laurea”, affinché si possa creare lavoro. “L’Italia si è spenta con questo governo e questo lo pagheranno le forze più deboli, tutte le proposte del governo servono a confondere, non sanno cosa fare”. Il Partito Democratico dal canto suo deve “denunciare, fare proposte e costruire un’alternativa credibile.

Impossibile non chiudere con il caos creato dallo scandalo che ha investito la magistratura e tramite Luca Lotti, il cui nome non viene mai direttamente nominato nel corso della presentazione forse per imbarazzo o forse per non focalizzare tutta l’attenzione dei media sul tema caldo del giorno, sul Partito Democratico. Anche qui tra Zingaretti e Carofiglio non c’è troppa armonia: “Autosospendersi non significa niente, si danno le dimissioni e si esce da un partito. Quando vi dicono di autosospendersi vi stanno prendendo per… il naso”, si infuria Carofiglio. “Dentro il PD l’autosospensione non è una scelta di resa o di fuga, ma il diritto a potersi difendere senza che questo coinvolga il partito. È un risultato che abbiamo raggiunto”, risponde Zingaretti. In ogni caso, “nessuna gogna mediatica”, prosegue il segretario del PD, “e no al tritacarne. So cosa vuol dire essere messi in un tritacarne e poi uscire totalmente estranei da una vicenda giudiziaria.” 

Tolto il dente del caso giudiziario, la presentazione scorre rapidamente verso il termine, tra i saluti di rito e il doppio assalto subito da Zingaretti: il primo dei cronisti, il secondo dei lettori che volevano un suo autografo sul libro.

Paolo Palladino

 

 

 

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