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Nicola stai sereno

“Perché con quella ‘c’ aspirata e quel senso dell’umorismo da quattro soldi, i toscani hanno devastato questo partito”

Non sono bastati i meme, il cambio della segreteria, non è bastata l’insurrezione della destra, non è bastata Pontida, il crollo del governo, la rinascita del governo, l’addio di Tommaso Paradiso: la sinistra ha deciso di fare un’altra ennesima scissione. Così, di botto.

Oramai non ci si può fare nulla, è parte integrante del suo stesso essere. Non si può chiedere di fermare le stagioni, non puoi fermare la rivoluzione del Sole e così non si può chiedere al Partito Democratico di non scindersi in ulteriori partiti di sinistra. O meglio, puoi farlo ma tanto Renzi non ti darà retta. Per l’ennesima volta, l’ex-Presidente del Consiglio ha dimostrato di non poter in qualche modo rimanere a lungo lontano dai riflettori. Dopo una carriera lampo sulle luci della ribalta e al massimo del suo splendore è sicuramente difficile riuscire a restare nei retroscena, nonostante l’alto grado di impopolarità che è riuscito a raggiungere in solo poche mosse. Sì, perché nonostante le dure critiche all’omonimo Salvini, il caro Renzi non ha nulla da imparare dal collega leghista circa l’abilità di far cadere un governo. C’è riuscito benissimo da solo nel 2016 e parrebbe non essere intenzionato a fermarsi lì: per un governo appena instaurato da poche settimane una scissione all’interno di una delle due forze politiche non è certamente il segnale più rassicurante. Ciò nonostante, l’ex-sindaco di Firenze ha dichiarato come la separazione sia avvenuta nei toni più rilassati e sereni e che lui e i suoi seguaci che hanno chiuso le porte del Nazareno alle loro spalle supporteranno allo stesso modo il governo Conte Bis, delineandosi semplicemente come una forza politica contrapposta. Ma allora perché scindersi? Perché ora?

In un’intervista al quotidiano La Repubblica, Matteo Renzi ha duramente criticato il PD, a suo modo di vedere “organizzato scientificamente in correnti e impegnato in una faticosa e autoreferenziale ricerca dell’unità come bene supremo”. La scissione in realtà ha aleggiato per aria nei mesi come un odore di gas proveniente da una valvola malfunzionante che porta a presagire un’esplosione imminente: Matteo Renzi addirittura minacciava mesi addietro il neo segretario Zingaretti di scissione per un qualsiasi accordo con i nemici storici pentastellati. Dopo, all’indomani dell’8 agosto 2019, è invece lo stesso Renzi a spingere fortemente all’interno del Partito Democratico affinché si arrivi ad un’alleanza di governo proprio con i Cinque Stelle. La ratio di questo cambio di rotta? Le sofisticate porte blindate dei corridoi oscuri della mente renziana non hanno ancora fornito la possibilità d’esser decifrate. Si sa solo che il neo-non-così-neo Presidente del Consiglio Conte non è stato l’unico ad imbeccare contro il senatore Salvini il 20 agosto al Senato, trovando in Matteo Renzi un ottimo compagno di avventura, perlomeno per quanto concerne prendere a sassate dialettiche il segretario della Lega (Nord). Oltre ciò, durante le dure ore nelle quali Zingaretti ha cercato insistentemente un qualsiasi tipo di bevanda tra gli scaffali della cucina per mandare giù mesi di insulti e invettive per stringere la mano a Luigi Di Maio, è stato proprio Renzi a spingere fortemente per un accordo tra le due forze politiche, portando ad ulteriori tensioni e contraccolpi interni al PD. Dopo aver completato l’accordo, con successivo programma, squadra di governo e campanellina, ecco che tutto ad un tratto è proprio l’ex-segretario dem a lasciare il Partito, concretizzando voci di corridoio che da tempo circolavano e dando vita al nuovo partito liberal-democratico Italia Viva” . Una sorta di “Forza Italia” più sofisticato ma di simil sostanza. Anche perché l’unico membro non proveniente dai dem finora sopraggiunto nel neo-movimento è proprio dal partito berlusconiano, la senatrice Donatella Conzatti. L’idea è quella di una forza centrista capace di assorbire a sé l’elettorato non perfettamente allineato con la sinistra tradizionale o la destra emergente, pescando anche da +Europa e simili. 

Ciò nonostante, il governo non crolla: lo stesso Renzi ha da subito alzato la cornetta per chiamare il caro Conte, rassicurandolo del pieno appoggio da parte del suo movimento e mantenendo viva (per adesso) l’esperienza di governo. Anche se però Conte non ha subito forti contraccolpi diretti, l’effetto si sente: il PD ha da subito perso l’ 1.5% nei sondaggi e l’idea è che possa continuare a perder terreno. Secondo gli esperti sondaggisti, Italia Viva dovrebbe aggirarsi attorno al 3-5%: non importantissimo ma neanche irrilevante (e fin qui meglio della Bonino e di Liberi e Uugali). Oltre alle percentuali, c’è un altro fattore importante da dover considerare per le scelte tempistiche adottate da Renzi: non soltanto semplici deputati e senatori hanno seguito il leader toscano, ma anche membri del governo, tra cui la tanto discussa Teresa Bellanova e diversi sottosegretari. Difficile pensare che questi elementi sarebbero stati scelti lo stesso per l’esecutivo se la scissione fosse stata svolta prima dell’insediamento. 

Questa mossa sembra rivelarsi l’ennesimo fuoco amico da parte di Renzi ai suoi colleghi del PD nel quale oramai, l’ex-sindaco di Firenze si trovava troppo stretto da oramai tempo immemore. Per metterla con le parole di Internazionale:

“Le cose sono peggiorate quando Renzi nella veste di “rottamatore” ha lanciato la sua offensiva per conquistare la leadership del Pd, diventando nel dicembre del 2013 segretario del partito e nel febbraio del 2014 capo del governo. Da allora sotto al tetto del Pd hanno convissuto due partiti, armati l’uno contro l’altro, tenuti insieme da sospetti, da sgambetti e da odio reciproco

Addirittura Renzi parlava dei “suoi” senatori e deputati, quasi a sottolineare come i suoi fedelissimi non seguissero neanche più le scelte del Partito ma avessero già una loro autonomia nelle decisioni tutta di stampo renziano. Una sofferenza senza dubbio costante che non ha reso facili le decisioni al Nazareno negli ultimi anni. 

A vederla così però, una riflessione c’è da farla: se la divisione era così forte, del tutto male una divisione non fa. Sicuramente riesce a portare un po’ di tranquillità in casa dem. Forse la scissione stessa può essere vista come un atto necessario, quasi dovuto, nel quale Zingaretti sicuramente avrà modo di tirare una boccata d’aria fresca e un bel sorso di valeriana, senza l’oppressione di segretari del passato e con maggiore libertà di manovra. Di meno ma più leggeri. Magari, a differenza di Enrico, questa volta Nicola riuscirà davvero a stare sereno.

Meglio una fine con terrore che il terrore senza fine, decreta un proverbio tedesco.”

(Internazionale)

Matteo Caruso

P.S.: In tutto ciò, si parla tanto del PD e di Renzi ma cominciano a volare forti indiscrezioni a Montecitorio circa una scissione interna dei Pentastellati, con Di Maio al centro del ciclone, dimostrando come la tendenza alla scissione della sinistra abbia le stesse caratteristiche di un comune virus o batterio che si insinua all’interno dell’organismo con la vicinanza a soggetti infetti.

Evidentemente il Movimento non era vaccinato.


Sitografia:

Provaci ancora Prof!

Quello che Rocky Balboa, le canzoni rap e la storia della Sinistra italiana hanno insegnato a molte generazioni di ragazzi è che, nella vita, l’importante non è tanto cadere quanto avere la forza di rialzarsi. Non si può negare che l’impatto di queste tre importanti variabili del mondo moderno abbia plasmato le menti e l’attitudine di molti adolescenti. Eppure, in un piccolo paesino in provincia di Foggia, molti anni fa, un piccolo bambino cresceva spensierato senza il supporto di Sylvester Stallone, né alcun personaggio della scena rap, né tantomeno la Sinistra italiana. Quel piccolo bambino di Volturara Appura, anche senza queste figure di riferimento, è riuscito a crescere professionalmente e caratterialmente, con in testa l’idea che quando si fallisce, l’unica cosa possibile è rimboccarsi le maniche e ritentare ancora, nella speranza di fare meglio. Quel piccolo bambino, oggi, è il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, Giuseppi Conte. Continua a leggere

Nella Piazza Grande di Zingaretti

Venerdì 14 giugno il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha presentato nell’unica tappa romana il suo ultimo libro, “Piazza Grande”. Con lui, nella Libreria Nuova Europa – I Granai, c’era lo scrittore Gianrico Carofiglio. Sotto forma di dialogo tra i due si è svolta la presentazione, che seppur di breve durata, è stata ricchissima di tematiche: dallo scandalo che ha investito il CSM al “primo governo nazionalpopulista dell’Europa occidentale”, passando tra il tema della leadership, i paletti del nuovo PD, la cultura e il ruolo degli amministratori. Continua a leggere

Gigi La Frottola

“fròttola s. f. [prob. der. di frotta]: componimento letterario di origine popolaresca (detto anche motto confetto) costituito da un affastellamento di pensieri e di fatti bizzarri e strani, senza nesso o quasi tra loro, in versi di varia misura” Continua a leggere

La Strillettera Europea: procedure d’infrazione fantastiche e dove trovarle

Secondo il Human Development Report OCSE del 2009, circa il 47% degli italiani sono considerabili analfabeti funzionali, cioè non sono in grado di leggere e comprendere un testo in maniera appunto funzionale, privi di qualsiasi approccio critico e capacità di analisi del testo. Fintanto che le persone non sanno leggere gli orari dell’autobus o utilizzare un computer i danni, seppur presenti, risultano limitati.

La grande problematicità dell’analfabetismo funzionale emerge qualora si debba poi decifrare una notizia di rilevanza politica a ridosso delle elezioni. Senza spirito critico dell’informazione e una capacità di piena comprensione, la possibilità di essere tratto in inganno e in errore è molto più alta.

Peggio sarebbe se casi di analfabetismo funzionale si trovassero al governo o ai vertici di potere.

“Tutti gli ultimi anni, con la cura Monti, la cura Letta, la cura Renzi, la cura Gentiloni, la cura dei tagli e delle chiusure, dimostrano l’esatto contrario: il debito è cresciuto. Noi vogliamo fare quello che gli italiani ci chiedono di fare, ridurre le tasse

(Matteo Salvini a Otto e mezzo, 5 giugno 2019)

Nel 2017 l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche (-39.691 milioni di euro) è stato pari al 2,3% del Pil, in diminuzione di circa 1,9 miliardi rispetto al 2016 (-41.638 milioni di euro, corrispondente al 2,5% del Pil)”

(Dati ISTAT)

E le cifre sono queste: nel 2018 il debito è stato pari al 132,2%, rispetto al 131,4% del 2017, nel 2019 si attesterà al 133,7% e nel 2020 raggiungerà il 135,2%.”

(Il Sole24ore)

Il 29 maggio 2019 sulla scrivania del Ministro dell’Economia Giovanni Tria si è presentata una lettera molto dura da parte della Commissione Europea. Da molti nel mondo di Harry Potter potrebbe essere definita quasi una strillettera che sostengono avesse più o meno questa intenzione:

“Giovanni Tria! Come hai osato infrangere le regole sul disavanzo? Siamo veramente disgustati. Ora in Europa l’Italia sarà sottoposta ad un’inchiesta e sarà tutta colpa tua. Se farai un altro passo falso noi ti riporteremo la Troika a casa.”

Probabilmente non è esattamente così che il Ministro l’ha analizzata, anche se è plausibile che egli al momento della consegna della lettera sia rimasto seduto sulla sua scrivania, chiedendosi a cosa stesse pensando nel momento in cui ha accettato l’incarico lo scorso anno.

Nella lettera, il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis e il commissario dell’economia Pierre Moscovici puntualizzano la necessità per l’Italia di mantenere gli impegni presi nei trattati e in particolare si rifanno all’articolo 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Il suddetto articolo sentenzia che se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione.

Questa è per adesso l’azione dell’Europa: preparare una relazione sull’andamento economico dell’Italia in quanto Paese Membro per valutarne le politiche prossime. Tale relazione, inoltre, tiene conto anche dell’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro. Alla fine di tale relazione, l’Unione Europea valuta se il suddetto Stato Membro è passibile di procedura di infrazione, nella quale sarebbe limitato nelle sue scelte economiche e costantemente monitorato dagli organi di vigilanza per assicurare il rientro del debito.

Il 5 giugno la Commissione ha valutato giustificabile la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e ha deciso di rimettere al giudizio finale del Consiglio di Economia e Finanza (ECOFIN) la decisione sull’eventuale procedura di infrazione. La discussione avrà la sua soluzione nella sessione dell’8 e 9 luglio, quando si deciderà se effettivamente tale procedura avrà luogo. Il dossier è dunque passato ai singoli rappresentanti dei governi degli Stati Membri che decideranno il futuro della terza potenza economica europea. Tale procedura non è mai stata avviata e l’iter sarebbe di circa 2-3 anni, nei quali il Paese attraverserebbe varie fasi con l’obiettivo di ridurre il suo deficit e rientrare nei parametri europei.

Le misure sarebbero molto più stringenti e riguarderebbero sia tempistiche che modalità degli interventi, con grave rischio di una maggiore tassazione e dei tagli a politiche sociali, fino ad un taglio dei fondi strutturali europei. Fondi che al momento consistono in un grande apporto all’economia italiana.

Ora il punto è che la lettera è arrivata ma non è chiaro se sia stata effettivamente compresa.

Di Maio utilizza la carta E allora il PD?” e rigetta sul Partito Democratico la colpa dell’eccessivo debito. “Quota 100 e pensioni d’oro non si toccano” (Zingaretti non ci sta e rilancia “Questo è un capolavoro del governo”, in un improvviso e sorprendente slancio di amor proprio).

Salvini rimane fermo sull’idea dell’Europa da rivedere e sulla flat tax: “L’unico modo per ridurre il debito creato in passato è tagliare le tasse (Flat Tax) e permettere agli Italiani di lavorare di più e meglio”. La speranza risiede nell’intervento dei Sovranisti a cambiarne le regole, sebbene probabilmente saranno proprio quelle forze sovraniste a supportare la procedura d’infrazione, così come fatto in precedenza dal leader ungherese Orban.

Non si capisce esattamente se Di Maio e Salvini stiano parlando della stessa cosa. La lettera è sbagliata perché si riferisce al PD e quindi il Governo gialloverde è salvo oppure si riferisce al Governo gialloverde e quindi l’Europa sbaglia perché critica le scelte del governo?

Probabilmente il problema risiede nell’incapacità di capire cosa effettivamente sia richiesto dalla Commissione Europea o nella volontà di ignorare volontariamente qualsiasi altro punto di vista. Sembra effettivamente di dialogare con un grave caso di analfabetismo funzionale a livello governativo.

Sono sicuro che a Bruxelles rispetteranno questa volontà”.

Ecco, qui sta il punto: Bruxelles probabilmente non è d’accordo su nessuno dei punti del governo. Difficile credere che la lettera della Commissione si riferisca al debito del governo precedente, come se la lettera fosse una cartolina perduta tra servizi postali e pervenuta solo tempo dopo. Non avrebbe senso far partire una procedura d’infrazione sulle politiche di questo governo se fossero considerate positive dall’Unione. Per adesso alla Commissione Europea serve capire l’intenzione dell’Italia sul suo stato economico, dal momento che per un Paese con un tale disavanzo l’idea di adottare politiche di taglio delle tasse e spesa pubblica sulle pensioni non risulta il metodo più efficace per ridurre il debito.

La speranza è trovare un punto di compromesso  tra Italia e Commissione per evitare pesanti sanzioni che potrebbero in qualche modo peggiorare la situazione italiana che, a quel punto, non avrebbe più modo di scegliere autonomamente come ha fatto sin’ora la propria politica. Perché sì, di libertà ne ha avuta per circa vent’anni di Berlusconismo e di indebitamento spropositato di cui, stranamente, nessuno ricorda nulla.

Ma chi probabilmente soffre davvero in tutto ciò rimane il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ci ha provato ma non sembra aver ottenuto i risultati sperati. Ha indetto anche una conferenza Lunedì per provare a rimettere insieme i pezzi di un governo che ogni volta che apre bocca riesce a far salire lo spread di un’infinità di punti e sembra ostacolare ogni suo sforzo di pacificazione con l’Unione.

Intanto lui vola a Bruxelles, verso incontri istituzionali, con Tria accanto e lo sguardo perso nei sogni sul finestrino, chiedendosi di tanto in tanto se ci sia tanta differenza tra lo stipendio del Presidente del Consiglio e quello dell’allenatore della Roma.

Matteo Caruso


Sitografia: