Nell’articolo precedente in cui si parlava della bancarotta di una delle più importanti fabbriche in Bosnia ed Erzegovina abbiamo descritto come i lavoratori e la fabbrica stessa siano stati ridotti a un capro espiatorio tramite il quale il Governo croato e quello bosniaco potessero dare sfogo alla propria retorica nazionalista. Il risultato è stata la dichiarazione di bancarotta e 900 lavoratori che rischiavano di trovarsi per strada.
Con questa breve premessa arriviamo invece agli eventi recenti: ovviamente il Governo bosniaco in collaborazione a quello croato, è intervenuto subito cercando metterci almeno una pezza, avendo ben chiaro che non potevano esattamente permettersi di portare al totale fallimento un’azienda del calibro come l’Aluminij. Nel mese di agosto il premier della Bosnia Fadil Novalić in quota Musulmana/Bosgnacca è intervenuto dichiarando che l’azienda non avrebbe chiuso ma che sarebbe stato necessario “fare degli aggiustamenti”, in particolar modo bisognava risolvere il problema dell’approvvigionamento elettrico, senza il quale la fabbrica non poteva riprendere a lavorare. Due mesi dopo il Governo Bosniaco, per intercessione di quello croato, ha dichiarato di essere in contatto con un’azienda israeliana, il gruppo Abraham, e che insieme ad altri due partner cinesi, CMEC e NFC, avrebbero cercato di raggiungere un accordo per stabilizzare la fabbrica e cederla a questo terzetto sino-israeliano. Mentre avveniva questa trattativa, il Governo ha deciso di far cadere la scure sui lavoratori e dei 900 iniziali, sono passati ad essere 380, la ragione a quanto pare era la carenza di fondi per continuare a mantenere questi operai, però tutte le testate nazionali, avevano riportato come i membri del comitato di supervisione avessero ricevuto comunque la loro paga, pur non avendo adempito al loro compito nei mesi e anni precedenti.
Ritornando alle trattative, queste sono continuate fino a novembre, quando a quanto riportano sempre le testate nazionali, gli investitori sino-israeliani hanno deciso di punto in bianco ad abbandonare le trattative. Da qui sono partite delle nuove speculazioni in quanto il rappresentante di spicco dei Croati, Dragan Čović, aveva dichiarato che c’era la possibilità di coinvolgere un nuovo investitore, questa volta arabo. Qualche giorno dopo è stato riportato un incontro tra tre figure di spicco del governo, il sopracitato Novalić, il Ministro per l’energia, Nermin Džindić, e la Ministra per le finanze, Jelka Miličević, (due in quota musulmana e l’ultima in quota serba) e alcuni magnati arabi, probabilmente quelli a cui faceva riferimento Čović.
Questo è il riassunto degli eventi che si sono susseguiti e per così come appaiono si potrebbe dire che comunque un barlume di luce si intravede per l’Aluminij. In realtà qui nasce il problema principale, già secondo le informazioni trapelate l’accordo con il gruppo sino-israeliano si parlava di un progetto non ben definito di qualche anno, dopo il quale gli acquirenti avrebbero avuto diritto di decidere se mantenere la fabbrica oppure chiuderla definitivamente, cosa confermata anche dalle parole del direttore generale della compagnia Abraham. Successivamente sono entrati in gioco i magnati arabi ed è qui che è venuta fuori l’ipocrisia di tutta la classe politica della Bosnia, indipendentemente dal gruppo etnico di appartenenza, perché finché si trattava di una situazione in cui l’azienda faceva girare grossa parte dell’economia non hanno avuto problemi ad atteggiarsi da nemici, quando poi è arrivato il processo di bancarotta, tutti gli esponenti nazionalisti si sono riuniti e insieme hanno iniziato a massacrare i lavoratori della fabbrica, spacciando il tutto come “scelte inevitabili”. In più, la scelta della controparte araba ha un intento ben preciso ovvero quello di svendere la fabbrica per togliersi di mezzo il problema del debito ma anche perché gli arabi abbasseranno i salari ai lavoratori potendo permettersi di assumere un numero più elevato di forza lavoro a basso prezzo. Il tutto con la doppia ipocrisia degli esponenti Croati e Serbi che ogni due minuti esclamano come gli investitori arabi siano invasori e nemici, salvo poi essere pronti a stringere un patto con loro sulla questione Aluminij.
Come al solito a pagare per le scelte di una classe politica egoista e senza alcuna visione sono i lavoratori, ma in modo più ampio anche tutti i cittadini bosniaci (croati, serbi o musulmani) e intanto il nazionalismo come l’oppio continua a far pensare che le cose possano andare in meglio se questo o quel gruppo etnico sparisce dalla faccia della Terra, dopotutto il presidente Bakir Izetbegović ribadisce come un mantra: “Andrà tutto bene, Inshallah!”